Storia della Medicina Occidentale



STORIA SEMPLIFICATA DELLA MEDICINA OCCIDENTALE

Abbiamo ritenuto importante fare questo breve pagina per dare a tutti voi ed ai nostri allievi una breve panoramica sull'evoluzione e storia della medicina "occidentale-europea". 
Questa è una visione prettamente "maschile" che esclude la medicina popolare femminile e ne chiediamo venia.

MEDICINA GRECA

Nelle prime fasi, la medicina occidentale  era una medicina teurgica, in cui la malattia era considerata un castigo divino, concetto che si trova in moltissime opere greche, come l'Iliade, e che ancora oggi è connaturato nell'uomo.
Il simbolo della medicina è il serpente, animale sacro perché ritenuto, erroneamente, immune dalle malattie. Secondo un'altra versione nel simbolo non è rappresentato un serpente, ma l'estirpazione del Dracunculus medinensis o verme di Medina. Comunque, il serpente aveva un'importante funzione pratica nella medicina antica: nel tempio di ogni città c'era una sorta di cunicolo con i serpenti. Il tempio, infatti, non era solo un luogo di devozione, ma anche un luogo dove si portavano i malati: la fossa dei serpenti serviva a spaventare il paziente, a cui probabilmente venivano date anche delle pozioni, per indurre uno stato di shock e fargli apparire il dio che così lo guariva.
Col passare del tempo la medicina prese sempre più le distanze dalla religione sino ad arrivare alla medicina razionale di Ippocrate, che segnò il limite tra razionalità e magia.
Le prime scuole si svilupparono in Grecia e nella Magna Grecia, cioè in Sicilia e in Calabria. Tra queste, fu importantissima la scuola pitagorica. Pitagora, grande matematico, operava nell'isola di Samo, ma si spostò a Crotone quando il tiranno Policrate prese il potere nella sua città. Egli portò nella scienza naturale, ancora non definibile medicina, la teoria dei numeri: secondo Pitagora alcuni numeri avevano significati precisi e, fra questi, i più importanti erano il 4 e il 7. Il 7 ha sempre avuto un significato magico, per es. nella Bibbia un numero infinito è indicato come 70 volte 7. Tra l'altro il 7 moltiplicato per 4 dà 28, cioè il mese lunare della mestruazione, e 7 per 40 dà 280, cioè la durata in giorni della gravidanza. Sempre per la connotazione magica del 7 si diceva che era meglio che il bambino nascesse al 7° mese piuttosto che all'8°. Anche il periodo di quarantena, cioè i 40 gg che servirebbero per evitare il contagio delle malattie, è derivato dal concetto di sacralità del numero 40. Tuttavia la scuola pitagorica non si limitò a questo, ebbe importanti allievi e in quel periodo nacquero delle scuole filosofiche molto importanti.
Talete elaborò un'importante sistema secondo cui l'universo era costituito da: aria, acqua, terra, cui Eraclito aggiunse il fuoco (i 4 elementi fondamentali). In questo periodo venne dato grande rilievo anche alle qualità, secco e umido, freddo e caldo, dolce e amaro, etc.
Un grande allievo di Pitagora, Alcmeone di Crotone, nel VI-VII secolo a.C. fu il primo ad avere l'idea che l'uomo fosse un microcosmo costituito dai 4 elementi fondamentali. Secondo lui dall'equilibrio degli elementi, che chiamò isonomia o democrazia, derivava lo stato di salute, mentre lo stato di malattia derivava dalla monarchia, ovvero dal prevalere di un elemento sugli altri. Alcmeone fu anche il primo ad individuare nel cervello l'organo più importante. Sino ad allora era stata data pochissima importanza al cervello, che era sempre sfuggito all'osservazione: all'epoca greca il corpo era sacro e non si praticavano dissezioni, ma veniva visto negli animali sacrificati come una massa gelatinosa e fredda di scarso interesse. Alcmeone stabilì che il cervello doveva essere l'organo che comandava l'organismo. Pare che si fosse anche reso conto, fatto poi smentito da altri, che i nervi servissero per condurre gli impulsi nervosi, ma questa notizia non ha lasciato traccia nella storia della scienza di allora.
La vera e propria medicina razionale è da attribuire ad Ippocrate (V sec. a.C.), padre della medicina. Ippocrate visse tra il 460 e il 370 a.C. nell'isola di Coo o Cos, nel Dodecanneso, dove si sviluppò la scuola razionale, cui vanno ascritti molti dei pensieri attribuiti ad Ippocrate, che visse nei 50 anni di pace periclea, periodo in cui fiorì la filosofia. Operò nell'area del Mediterraneo e nei suoi viaggi toccò la Sicilia, l'Egitto, Alessandria, Cirene, Cipro.
La base della medicina razionale è la negazione dell'intervento divino nelle malattie. Anche la famosa malattia sacra, l'epilessia, fu attribuita ad una disfunzione dell'organismo.
La concezione di Ippocrate si rifaceva a quella di Talete ed in parte anche a quella di Alcmeone di Crotone, quando diceva che l'uomo è il microcosmo ed il corpo è formato dai 4 elementi fondamentali, nell'ordine aria, fuoco, terra ed acqua. Secondo Ippocrate e la sua scuola (pare che addirittura si trattasse di suo genero Polibo), agli elementi del corpo umano corrispondevano, in base a delle qualità comuni, degli umori: all'aria, che è dappertutto, corrispondeva il sangue; al fuoco, caldo, corrispondeva la bile; alla terra, per il colore, corrispondeva un umore scuro in realtà inesistente, forse osservato nella pratica dell'auruspicina, durante il sacrificio degli animali. Il sangue della milza, venoso, molto scuro fu forse ritenuto essere un altro umore, diverso dal sangue, e fu chiamato bile nera, atrabile in latino e o melaina kole' in greco; infine all'acqua corrispondeva il muco, o pituita o flegma, comprendente tutte le secrezioni acquose del nostro corpo (saliva, sudore, lacrime, etc.), localizzato principalmente nel cervello, che era umido e freddo come l'acqua.
Agli umori furono fatte corrispondere anche le stagioni: la prima stagione, quella del sangue e dell'aria corrispondeva alla primavera, l'estate era quella del fuoco e della bile, l'autunno era quella della terra e dell'atrabile e l'inverno era la stagione dell'acqua, della pituita e del cervello. Fu fatto anche un parallelismo con le quattro età della vita, infanzia e prima giovinezza, giovinezza matura; età virile avanzata, ed infine età senile.
Ippocrate, rifacendosi a quello che aveva detto Alcmeone di Crotone, sosteneva che la malattia derivasse dallo squilibrio, senza parlare più di democrazia o monarchia per non offendere i tiranni, e che dove c'era equilibrio tra gli umori c'era la salute; le cure consistevano nel rimuovere l'umore in eccesso. La sua teoria spiegava anche i vari temperamenti: un soggetto collerico aveva troppa bile, quello flemmatico troppo muco.
Al centro della concezione di Ippocrate non c'era la malattia, che si spiegava in modo olistico, ma l'elemento più importante era l'uomo. Questo fece la fortuna della scuola ippocratica nei confronti della scuola rivale di Cnido, che invece era focalizzata sulla malattia con una concezione riduzionistica, simile a quella odierna. La scuola di Ippocrate prevalse proprio perché si occupava dell'uomo, mentre l'altra occupandosi delle malattie e non avendo gli elementi necessari per farlo si estinse, quella di Ippocrate proseguì.
Alla base delle concezioni di Ippocrate c'era una filosofia profonda e pratica e un notevole buonsenso. I principi fondamentali erano di lasciar fare alla natura, cioè alla forza guaritrice della natura, di osservare attentamente il malato ed intervenire il meno possibile, fare attenzione all'alimentazione e alla salubrità dell'aria. Per eliminare lo squilibrio era necessario rimuovere la materia in eccesso, detta materia peccans. I mezzi a disposizione per l'eliminazione della materia peccans erano il capipurgio (= purga del capo), che consisteva nell'indurre lo starnuto con droghe come il pepe, il clistere, oppure il salasso o sanguisugio. Quest'ultima pratica fu molto usata dai seguaci di Ippocrate, soprattutto nell'epoca romana di Galeno, con conseguenze gravissime, perché il levare il sangue ad un malato non era utile ed era spesso causa di morte. Ippocrate comunque raccomandava di utilizzare questi mezzi con la massima parsimonia.
I testi di Ippocrate, o i presunti tali, furono commentati nelle università sino al 1700. Questi testi comprendono una serie di aforismi tra cui il famoso "La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fuggevole, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile", che sono alla base della sua filosofia ed invitano a pensare attentamente e ripetutamente prima di intervenire.
Ippocrate quindi creò una medicina olistica, basata sull'uomo o microcosmo, predicando l'uso della terapia disponibile con il massimo della parsimonia. Tra l'altro i rimedi erano pochi perché allora non esisteva la farmacologia ed un primo accenno all'erboristica venne da un allievo di Aristotele, Teofrasto, circa un secolo dopo. Ippocrate è ricordato anche perchè espresse i primi concetti di etica medica, arrivati sino ai giorni nostri, ed è infatti attribuito alla sua scuola il giuramento di Ippocrate, che codifica la figura del medico.
- "Giuro ad Apollo medico, Asclepio, Igea e Panacea, prendendo come testimone tutti gli dei e le dee, di tenere fede secondo il mio potere e il mio giudizio a questo impegno: giuro di onorare come onoro i miei genitori colui che mi ha insegnato l'arte della medicina (concetto di allievo e maestro) e di dividere con lui il mio sostentamento e di soddisfare i suoi bisogni, se egli ne avrà necessità;
- di considerare i suoi figli come fratelli, e se vogliono imparare quest'arte, di insegnarla a loro senza salario nè contratto;
- di comunicare i precetti generali, le nozioni orali e tutto il resto della dottrina ai miei figli, ai figli del mio maestro e ai discepoli ingaggiati ed impegnati con giuramento secondo la legge medica, ma a nessun altro (concetto della casta).
- Applicherò il regime dietetico a vantaggio dei malati, secondo il mio potere e il mio giudizio, li difenderò contro ogni cosa nociva ed ingiusta.
- Non darò, chiunque me lo chieda, un farmaco omicida (rifiuto dell'eutanasia), nè prenderò iniziativa di simile suggerimento, nè darò ad alcuna donna un pessario abortivo.
- Con la castità e la santità salvaguarderò la mia vita e la mia professione. Non opererò gli affetti da calcoli e lascerò questa pratica a professionisti".
(È questo un anatema contro la chirurgia, che trova la sua giustificazione nel fatto che la chirurgia allora aveva esiti disastrosi. Non c'era nessuno stimolo a studiare l'anatomia, perchè si pensava che le malattie fossero causate dallo squilibrio degli umori e gli organi non avessero nessuna importanza; quindi la chirurgia era un qualcosa di empirico, uno tagliava senza sapere cosa andava a tagliare, non c'erano i concetti della asepsi (procedimento finalizzato ad impedire la contaminazione da parte di microrganismi dei strumenti chirurgici, garze ecc.), della anestesia.
La chirurgia fu considerata una pratica artigianale secondaria senza utilità, non una scienza, sino alla fine del 1700. Gli artigiani la praticavano di nascosto, tramandandosi tra loro i segreti. I chirurghi e i medici indossavano anche un diverso abbigliamento: i medici, in quanto laureati e magistri togati, potevano portare la toga a differenza dei chirurghi, che invece erano persone indotte e non conoscevano il latino, che in epoca medioevale e moderna era la lingua dei dotti (nelle incisioni del '500, del '600 e anche del '700 si distinguono i medici con la toga lunga sino ai piedi dai chirurghi con le gambe scoperte). Questo corollario fu benefico nell'immediato, ma portò alla pratica della chirurgia da parte di persone prive di ogni conoscenza teorica.)
- "In qualunque casa io entri sarà per utilità dei malati, evitando ogni atto di volontaria corruzione, e soprattutto di sedurre le donne, i ragazzi, liberi e schiavi. - Le cose che nell'esercizio della mia professione o al di fuori di essa potrò vedere o dire sulla vita degli uomini e che non devono essere divulgate le tacerò, ritenendole come un segreto (concetto di segreto professionale).
- Se tengo fede sino in fondo a questo giuramento e lo onoro, mi sia concesso godere dei frutti della vita e di quest'arte, onorato per sempre da tutti gli uomini e se lo violo e lo spergiuro che mi accada tutto il contrario".
Anche se in Grecia il corpo era tabù, l'enorme sviluppo delle arti figurative, soprattutto della scultura, presuppone delle conoscenze anatomiche tali da far ritenere che in Grecia venisse praticata la dissezione. Di certo si sa comunque che la dissezione venne praticata poco dopo gli ippocratici e trovò la massima espressione nella scuola alessandrina.
Il più grande scienziato e biologo dell'antichità fu Aristotele (384/3 a.C.-322/1 a.C.), che contribuì enormemente non tanto alla medicina in sé, quanto alla scienza naturale, e a lui si deve la prima classificazione degli animali (al suo allievo Teofrasto quella delle piante). Purtroppo alcuni passi di Aristotele, forse interpretati male, portarono ad un errore che ebbe gravi conseguenze sull'evoluzione della scienza: pare che egli sostenesse che certi animali inferiori gli insetti (il cui nome deriva dalla evidente segmentazione del corpo nelle sue componenti) originassero dalla materia in decomposizione per generazione spontanea e che quindi non fosse possibile limitarne la crescita. Questo concetto iniziò ad essere attaccato alla fine del '600. Aristotele elaborò un sistema fisiologico incentrato sul cuore, in cui, secondo lui, ardeva una fiamma vitale mantenuta da uno spirito, detto pneuma o spirito vitale, che dava calore. Il polmone e il cervello avevano soprattutto una funzione di raffreddamento. Il cuore era l'organo più importante perchè quando il cuore si ferma l'uomo muore. Inoltre Aristotele nei suoi studi di embriologia notò che il cuore comincia a battere nelle fasi iniziali dello sviluppo dell'organismo: primum oriens, ultimum moriens.
Nella sua teoria il calore era la cosa più importante e dava la vita. Egli sosteneva che l'uomo, avendo molto calore, riusciva ad utilizzare tutte le risorse del suo organismo e a produrre lo sperma. La donna, invece, non aveva abbastanza calore, per cui parte del sangue era eliminata come sangue mestruale. Lo sperma col calore agiva sul mestruo, producendo l'embrione. La riprova, secondo Aristotele, della validità della sua teoria era che questo calore derivato dallo sperma, nel periodo del puerperio, faceva sì che la donna producesse il latte: nella maggior parte dei casi non si presentava la mestruazione proprio perché questo sangue in abbondanza veniva trasformato in latte grazie al calore.
Aristotele fu anche maestro di Alessandro Magno, che portò al massimo la fioritura della cultura ellenica, che si espanse in tutto il Mediterraneo. Ma la massima espansione portò successivamente al crollo.

MEDICINA ELLENISTA ROMANA MEDIOEVALE

Alessandro Magno conquistò tutto il Mediterraneo ma, come spesso accade, la massima espansione portò alla caduta dell'impero alessandrino. Il potere fu ripartito fra i suoi vari generali e l'impero venne diviso in numerosi regni. Tra i più importanti regni vi sono quello di Pergamo e, soprattutto, quello tolemaico in Egitto. Qui la cultura greca si fuse con quella egiziana.
Nell'impero tolemaico, ad Alessandria d'Egitto, si sviluppò un movimento culturale di vastissime proporzioni. Venne costruita anche la biblioteca più grande e famosa dell'antichità, che costituiva la summa del sapere dell'epoca e che, nei secoli successivi, andò incontro ad alterne vicende: fu incendiata da Cesare, da varii imperatori romani e vescovi, fu distrutta definitivamente intorno al 640 da un califfo arabo. Questa biblioteca era una vera e propria università, in cui operavano scienziati formatisi alla scuola aristotelica che, però, praticavano le dissezioni sugli animali ed anche sull'uomo. L'Egitto era una terra in cui da secoli, per non dire millenni, si faceva uso di pratiche funerarie che prevedevano la dissezione dell'uomo come preparazione alla mummificazione. Ecco che quindi acquistò importanza la tecnica dell'esame sul cadavere, inteso non semplicemente come dissezione, ma, come avverrà anche nel Rinascimento, quale momento fondamentale dell'attività del medico.
Assai importante fu ad Alessandria la scuola empirica, secondo la quale l'attività del medico doveva comprendere tre momenti fondamentali: l'anamnesi, l'autopsia (intesa però come ispezione visuale diretta del medico sul malato) e la diagnosi. Anche se tale scuola aveva dei principi molto affascinanti, che richiamano quelli odierni, tuttavia fallì in quanto non vi era la possibilità concreta di fare una diagnosi accurata e, di conseguenza, una terapia ad hoc, viste le scarse cognizioni, in termini di malattie, in loro possesso.
Contemporaneamente alla scuola empirica, in Alessandria si diffusero anche la scuola dogmatica, che era la continuazione della scuola d'Ippocrate, e la scuola metodica, che fu quella che ebbe maggior successo.
Ad Alessandria sono vissuti due grandi scienziati, estranei alle scuole su viste, Erofilo (330 a.C.) (1) ed Erasistrato (304 a.C.-250 a.C.) . Quest'ultimo era un grande medico a cui va il merito d'aver riconosciuto, per primo, che le arterie sono anch'esse dei vasi, in contrapposizione a quanto affermato da Aristotele, secondo il quale le arterie non trasportavano sangue ma pneuma (2). Inoltre egli diede molta importanza allo studio del polso, al concetto di temperatura del corpo ecc., contributi che tuttavia nel corso dei secoli vennero persi (3).
Come già detto, la scuola più importante ad Alessandria fu la scuola metodica. Questa si rifaceva non alla filosofia dei quattro elementi, ma alla filosofia rivale, alla teoria atomistica di Democrito (vissuto tra il V e il IV sec a.C.) . La concezione ippocratica era di tipo finalistico, analogamente a quella aristotelica, mentre alla base della teoria democritea vi era il caso. Secondo tale scuola era necessario valutare le cose così come apparivano nel mondo reale, bisognava porre attenzione allo stato fisico del malato. Grande importanza, secondo loro, aveva lo stato dei pori: a seconda che questi fossero aperti o chiusi si aveva una condizione, rispettivamente, di rilassatezza o di tensione; e bisognava far di tutto perché i pori rimanessero aperti in modo normale, quindi fare attenzione a come ci si lavava, alla temperatura dell'acqua. Questo concetto fu la causa dell'estrema scarsità d'igiene esistente nel medioevo, in quanto venne male interpretato e inteso come la condanna dell'acqua in quanto causa della chiusura dei pori.
Nell'epoca greca e poi romana ci fu un grandissimo sviluppo dell'igiene. I bisogni fisiologici non venivano più espletati nell'ambiente esterno o in luoghi aperti comuni (vicoli, spiazzi), ma in apposite costruzioni, le latrine pubbliche, dotate di sistema idrico e di sistema fognario. A Roma vi era un efficace apparato fognario oltre ad un efficientissimo sistema idrico. In ogni casa, non solo in quelle dei ricchi, ma anche nelle insulae, che erano le case popolari dell'epoca, vi era una fontana, l'acqua corrente, portata in ogni casa dagli acquedotti. Questi acquedotti, costituiti da tubi di piombo, materiale molto malleabile, furono imputati del crollo dell'impero romano, a causa della malattia causata dai sali di piombo, il saturnismo.
In realtà pare che non fosse tanto l'acqua inquinata a determinare tale malattia, ma il vino. L'acqua , infatti, proveniente da zone montane, era ricca di sali di calcio, i quali, combinandosi con i sali di piombo, si depositavano sulle pareti delle tubature costituendo così un rivestimento tenace e quasi insolubile. Il vino, per via della sua acidità, risultava invece ricco di sali di piombo (acetato di piombo o “zucchero di Saturno”), in quanto questi venivano utilizzati, alla stregua del bisolfito usato oggi, per controllare la fermentazione del vino.
A Roma la medicina era praticata in ambito familiare (il medico di famiglia era il pater familias, che aveva il potere assoluto sulla famiglia) e nessuna teoria vera e propria vi era alla sua base, risultando, perciò, una scienza empirica, anche se razionale.
Grande importanza ebbe l'erboristica anche se, anch'essa, usata in maniera molto empirica.
La medicina arrivò a Roma con la conquista della Grecia. A Roma fare il medico era considerata cosa disdicevole, che poteva fare solo uno straniero. Siccome la Grecia, dopo la conquista romana, era poverissima per le numerosissime guerre che l'avevano dilaniata, ci furono numerosi medici che si vendettero come schiavi per poter andare a Roma ad esercitare la propria arte. Molti di questi divennero famosi e si comprarono la libertà, divenendo dei liberti. La setta che ebbe maggior fortuna fu la setta Metodica (4), con Asclepìade e il suo allievo Temisòne, che influenzò moltissimo la cultura medica romana. Ci furono inoltre a Roma importantissimi trattatisti, tra cui il fondatore della botanica farmaceutica, Dioscuride Pedànio (I sec. d.C.) , che pubblicò un libro, intitolato De materia medica, rimasto come base della farmacologia fino al primo '800; Sorano di Efeso (I / II sec.) , medico ellenista, che pubblicò un trattato di ginecologia e soprattutto Aulo Cornelio Celso (14 a.C.-37 d.C.) con il suo trattato De Medicina. Questi scrisse una sorta di enciclopedia medica in cui trattò argomenti di chirurgia, di medicina dal punto di vista di un erudito, piuttosto che da quello di un conoscitore dell'argomento, facendo un grande elenco di pratiche comuni a Roma. Da qui possiamo però farci un'idea dello sviluppo raggiunto dalla chirurgia in quell'epoca, soprattutto in alcuni campi, quali l'odontoiatria (5).
L'elemento più caratteristico però dell'ambiente sanitario romano era il concetto di igiene. I romani si lavavano moltissimo, ne è un esempio l'uso e il numero delle terme allora esistenti. Il medico più importante dell'epoca romana, che lasciò una traccia importantissima nella cultura occidentale, fu Galéno (129 d.C.-216 d.C.?) , il pergameno (6). Questi era figlio dell'architetto dei re, proveniva dunque da una famiglia facoltosa, che dopo il tirocinio ad Alessandria passò a Roma, dove fece il medico dei gladiatori, acquisendo quindi una certa infarinatura anatomica, anche se, seguendo i concetti greci, si dedicò soprattutto alla dissezione degli animali. Tra questi i più studiati erano il maiale ("l'animale più simile all'uomo", a detta di Galeno) e la scimmia (7). Galeno intuì l'importanza fondamentale degli organi e di molti anche il loro effettivo ruolo; ad esempio capì che la vescica urinaria non produceva urina, ma che questa proveniva dagli ureteri (lo dimostrò legando gli ureteri), descrisse per la prima volta il nervo ricorrente. Ebbe molta importanza come medico pratico: basandosi sulle piante medicinali introdusse farmaci di grandissima importanza, introdusse, ad esempio, l'uso della corteccia di salice, del laudano (tintura di oppio) come anestetico.
Però insieme a questi reclamizzò dei farmaci completamente inutili, tra cui la triaca o teriaca (8), cioè un brodone in cui erano presenti le cose più strane: sterco di capra, pezzi di mummia, teste di vipera. L'unica cosa buona di questo intruglio era il fatto che veniva fatto bollire a lungo per cui il materiale contenuto all'interno diventava sterile. La teriaca venne utilizzata fino alla fine del 1700; veniva prodotta generalmente una volta l'anno nelle varie città sotto la responsabilità del magistrato e venduta poi nelle farmacie. Nonostante le sue numerose intuizioni, poiché la teoria più accettata all'epoca era quella ippocratica, Galeno, pur con qualche introduzione di elementi estranei, sposò la teoria degli umori. Anzi, esasperò l'aspetto terapeutico della materia peccans. Tra la materia peccans vi era il pus, che venne chiamato da Galeno "bonum et laudabile", perchè era espressione di materia peccans che doveva essere eliminata:
aveva capito che il pus era una sostanza da eliminare. Purtroppo, però, soprattutto dagli epigoni di Galeno tale teoria venne sfruttata in senso stretto: dicevano infatti che le ferite non dovevano guarire per prima intenzione, ma doveva formarsi prima pus: era quindi necessario bruciare la ferita in maniera tale da provocare la sua formazione, perchè solo così le ferite guarivano meglio. Tale concetto restò valido fin quasi alla fine del 1500.
Galeno portò, inoltre, all'esasperazione anche altre metodiche terapeutiche, quali il salasso. Nel suo concetto introdusse anche il concetto metodista dei pori: ciò, però, fu travisato ed interpretato come un invito, fatto da Galeno, a non lavarsi.
Galeno elaborò un teoria fisiologica per capire come funzionava il nostro corpo e come si muoveva il sangue. Sulla base di molte affermazioni di Aristotele (fu il primo a considerare la digestione come una sorta di cottura, parlava di una concotio degli alimenti che avveniva nello stomaco) affermò che gli alimenti, che contenevano le sostanze nutritizie, dopo la concotio, attraverso le vene meserraiche (allora non si conoscevano i vasi chiliferi), venivano portati al fegato.. Questo era l'organo principale della circolazione. Per Aristotele era il cuore l'organo più importante, per Galeno il fegato. Nello stomaco tale materiale diventava sangue e andava al fegato dove si arricchiva di uno spirito chiamato spirito naturale. Gran parte di questo sangue, dal fegato andava in periferia, attraverso le vene, dove veniva consumato come nutrimento. Una parte, invece, attraverso la vena Cava, passava al cuore, sede in cui arde la fiamma vitale, nel quale si arricchiva dello spirito vitale; in particolare il sangue giungeva al cuore destro e da qui, attraverso dei pori, giungeva al cuore sinistro. Da qui, attraverso le arterie, considerate dei vasi, il sangue si portava soprattutto al cervello. Prima di giungere però al cervello, il sangue passava attraverso un sistema mirabile situato nel collo (9). Nell'encefalo il sangue si arricchiva di un ulteriore spirito, lo spirito animale, quindi, attraverso i nervi, considerati il terzo sistema di vasi, giungeva in periferia dove poteva dare la vita. Questa teoria non presuppone una circolazione del sangue, bensì solo un movimento: a suo giudizio si muoveva secondo il moto delle maree. Questa, naturalmente, era una teoria facilmente confutabile. In realtà, secondo tale concezione, il sangue sarebbe dovuto essere in quantità enorme: infatti, se man mano che il sangue giunto in periferia si fosse consumato, è logico che se ne sarebbe dovuto produrre una quantità notevole in continuazione. Per confutarla sarebbe bastato prendere un animale e sgozzarlo, come fece 1500 anni dopo Harvey. Secondo la teoria galenica, inoltre, a livello del cervello, il sangue veniva filtrato e si veniva così a creare uno spurgo, rappresentante ciò che di impuro il sangue conteneva, e che, attraverso la lamina cribrosa (chiamata così per l'appunto) colava giù dando origine alle lacrime. Una teoria affascinante che, tuttavia, non era fondata su basi sperimentali e che portò poi alla cristallizzazione di tutto il sapere medico-scientifico, in quanto questa teoria si sposava bene con la dottrina cristiana. Questa teoria divenne quasi un dogma. Nel 1500, al tempo del grande medico Vesalio, era ancora valida. Tra le trattazioni rese così inattaccabili, oltre a quella sul sangue, già vista, vi è quella anatomica. Una anatomia, tuttavia, fondata sullo studio di animali che quindi non aveva nessuna funzionalità pratica, reale.
A riprova dell'intoccabilità di Galeno è dimostrativo il fatto che, nonostante tutte le prove rappresentate dai numerosi scheletri presenti sotto gli occhi di tutti, si continuasse ad affermare che gli omeri fossero curvi, e che quelli dritti non erano altro che ingannevoli scherzi della natura.
Dopo Galeno ci furono una moltitudine di medici che operarono nell'impero d'occidente ma soprattutto in quello d'oriente, con conseguente passaggio del sapere dall'Occidente all'oriente.
Sulla scia della grande importanza data all'igiene, in epoca romana sorsero i primi veri e propri ospedali, costruiti secondo precise norme igieniche quali smaltimento dei rifiuti, sistema idrico, libera circolazione dell'aria, come dimostrano le numerose finestre di cui erano dotati, che possiamo tutt'oggi vedere e di cui Vitruvio racconta.
Col trasferimento del potere a Bisanzio, ci fu anche il trasferimento della cultura medica e dei principi dell’igiene, terme incluse. In questa città vi furono medici famosi, quali Paolo di Egina, che non fecero altro che ripetere quanto detto da Galeno e seguaci; ci fu tuttavia la fondazione di molti ospedali ed il sorgere della medicina sociale. Avvenne a Bisanzio una disputa tra il vescovo Cirillo e il vescovo Nestorio. Quest'ultimo perse e fu cacciato da Costantinopoli; si rifugiò quindi in Medio oriente, nelle zone dell'lraq ed in Egitto. Nestorio portò con sè tutto il bagaglio culturale classico, compreso quello medico, ponendo quindi le basi allo sviluppo di una concezione medica simile a quella presente nell'antica Roma.
Vennero costruiti ospedali avanzatissimi, a immagine di quelli romani, a Bagdad, in altre città dell'Iraq ed al Cairo.
Tuttavia anche in questa epoca araba non si dava importanza, continuando sul concetto della medicina olistica, all'anatomia. Rimaneva, tuttavia, ben saldo il concetto dell'igiene avanzata, del lavarsi molto (10) . Nella medicina araba ebbe grande influenza anche la religione. Uno dei concetti del Corano era che non bisognava toccare il corpo umano per evitare che uscisse il sangue, in quanto insieme a questa sarebbe uscita anche l'anima; ciò pose un veto alla possibilità di eseguire dissezioni. Nella religione cattolica, invece, non vi è nessun ostacolo di carattere religioso alla dissezione: il corpo è qualcosa di secondario, ciò che importa è l'anima. In oriente, invece, tale norma proibiva la dissezione nelle 24 ore successive alla morte, per paura che venisse persa l'anima. Per ovviare a ciò gli arabi inventarono il termocauterio, ancora oggi usato (si pensi al bisturi elettrico) per bloccare temporaneamente i vasi (11) durante l'operazione chirurgica. All'escara faceva seguito la suppurazione; si veniva così a creare il pus, bonum et laudabile, nel pieno rispetto dell'iter terapeutico del tempo, ma ciò portava spesso il paziente alla morte.
Agli Arabi va, inoltre, il gran merito d'aver tramandato gli scritti greci antichi, che ad essi erano giunti attraverso, ad esempio, i nestoriani, o che si erano fatti portare in dono dai vari principi occidentali, e che scrupolosamente traducevano in lingua araba lasciandovi il testo greco a fronte. Grandi medici arabi furono Rhazes (864-925) e Avicenna (980-1037). Verso la metà del 1200 il medico siriano Ibn-Al-Nafis (1213-1288) descrisse la circolazione polmonare. È dubbio però che la sua scoperta, venuta alla luce nel 1924, abbia influenzato la medicina occidentale.
La civiltà araba ebbe il massimo sviluppo in Europa nella Spagna islamica; a Cordoba in particolare, vi furono grandi medici, quali, ad esempio, Maimonides, Albucasis, Giuannizzius ed Averroè (1126-1198) che, come prima di lui Avicenna, commentò Aristotele. Il periodo della civiltà moresca (12) in Europa fu il culmine della civiltà araba. Dopo la disfatta dei mori l'impero arabo crollò e il loro sapere tornò in Europa, in particolare a Montpellier e a Salerno.
Mentre nell'oriente arabo si sviluppò una società avanzatissima, basata soprattutto sul patrimonio antico, classico, sorretta dalla nascente concezione islamica, in cui si traducevano e si commentavano testi antichi, si studiava Aristotele, in Occidente, invece, questo fu il periodo dell'oscurantismo e si ritornò alla medicina teurgica (siamo in pieno medioevo). I santi venivano chiamati adiuvanti e alle loro reliquie venivano attribuiti poteri miracolosi. Vere e proprie guerre venivano combattute per tali reliquie (13). In questo periodo particolarmente diffuso era il concetto della agiolatria. Tra i santi adiuvanti, i più famosi erano i santi Cosma e Damiano (14) : erano i patroni sia della famiglia de Medici che dei medici, ed erano detti anargiri perché curavano gratis. A loro venne attribuito un "miracolo": attaccarono la gamba di un negro ad un poveraccio cui era stata amputata. Vi erano santi protettori per ogni organo e contro ogni malattia: Santa Lucia protettrice degli occhi, Santa Apollonia dei denti, San Biagio della gola, San Fiacre proteggeva dalle emorroidi, Sant'Antonio dalla lebbra, San Rocco dalla peste, Sant’ Anna il parto e Sant’Agata dalle malattie delle mammelle.
Dopo la caduta dei califfati arabi, gli scienziati della Spagna musulmana, come già detto, si rifugiarono soprattutto in Francia, a Montpellier, e in Italia a Salerno, dove fiorì la cosiddetta scuola salernitana, che, secondo la leggenda, fu fondata poco prima del 1000 da un greco, da un latino, da un arabo e da un ebreo. In questa scuola confluirono una marea di manoscritti greci ed arabi; si ebbe perciò un ritorno alla cultura greca e classica e alla medicina ippocratica. In questa epoca grande importanza venne data alla moderazione della dieta e dell’uso del vino. Non solo, vennero formulati consigli (Regimina) su ciò che bisogna fare e ciò che, invece, non bisogna fare. Ad esempio non bisogna eccedere nelle pratiche amorose, non bisogna leggere a lume di candela, non bisogna sforzarsi troppo nella defecazione, non bisogna eccedere nel vino. Ritornarono i principi dell'igiene, del lavarsi molto, della salubrità dell'aria. Grande importanza fu data al concetto del temperamento: se ne individuavano quattro: il temperamento gioviale, il temperamento amoroso, quello collerico e quello flemmatico.
Grande importanza veniva data a ciò che si mangiava, soprattutto in relazione al temperamento: se uno era molto collerico. voleva dire che aveva troppa bile, troppo fuoco. per cui bisognava smorzare tale temperamento facendogli mangiare pesce di palude, che è freddo, oppure la folaga (che era ritenuta un pesce); all'esame del malato e all'esame delle urine; vi fu un certo sviluppo della chirurgia, ma non della condizione dei chirurghi, i quali erano sempre considerati degli aggregati (come l'abito stesso sottolinea) e non dei medici.
In questo periodo sorsero inoltre le Università. Prima esistevano gli Studia, che erano istituti sponsorizzati dalla comunità civile laica, mentre le università erano qualcosa di spontaneo, che si venivano a formare per iniziativa di gruppi isolati di studenti ("Universitas studiorum"), girovaghi, che si sceglievano un maestro valido e, pagandogli un salario, si ponevano come suoi allievi. Il potere in questo caso era nelle mani degli studenti, che potevano cambiare insegnante quando volevano se non soddisfatti. Federico Barbarossa fu il primo che finanziò questi studenti, diede loro il beneficio fiscale se si fermavano nella sua città. In seguito ci mise lo zampino la Chiesa e le Università potevano diventare tali solo quando vi erano le bolle papali. La prima università del mondo occidentale con bolla papale fu l'Università di Bologna. Le prime Università tuttavia erano formate dalle scienze liberali del trivio (retorica, dialettica e grammatica) e del quadrivio (matematica, geometria, astronomia (15) e musica (16). La medicina entrò tra le discipline universitarie solamente circa 150 anni dopo: a Bologna, il medico Taddeo degli Alderotti dimostrò che la medicina riusciva ad argomentare contro i retori, riuscendo così a portare la medicina alla pari delle altre discipline universitarie.
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La medicina nei secoli XIII-XVI. Università, Ospedali, Rivoluzione Anatomica.
La scorsa volta abbiamo visto come la medicina sia entrata tardivamente nelle università, diventando una materia di insegnamento solamente nel tardo 1200. E' grazie all'opera di Taddeo degli Alderotti (1223-1303) che la medicina entrò a pieno titolo a Bologna. Dopo Bologna ci furono altre università; la seconda in Italia fu Padova (per merito di studenti che da Bologna si trasferirono a Padova), ci furono poi Napoli, Siena, Roma, Pisa, Pavia etc. Ricordiamo altre università europee: Parigi, Montpellier, Oxford, Cambridge, Salamanca, Coimbra, Heidelberg , Praga, Vienna etc. L'Università di Sassari fu fondata nel 1616, quella di Cagliari, nel 1620.
Un'altra istituzione che nacque nel medioevo furono gli ospedali. I primi ospedali sorsero come ospizi per persone non abbienti, più che come luoghi di cura. Solo negli ospedali femminili si potevano tenere animali. Le condizioni igieniche erano alquanto sommarie, ad esempio: non venivano mai cambiate le lenzuola, (nelle diapositive osserviamo due pazienti nello stesso letto e monache che preparano feretri nella stessa stanza). Non doveva però mancare l'immagine del Signore, in quanto gli ospedali erano considerati dei luoghi dove ci doveva essere la presenza guaritrice dello spirito santo.
Gli ospedali medievali (ma questo andò avanti fino all'età moderna, e vale anche per l'ospedale civile San Giovanni di Dio di Cagliari) hanno la porta rivolta verso il Vaticano, perché lo Spirito Santo possa entrare meglio. Erano costituiti con una cappella che potesse essere vista da tutti i reparti ospedalieri. Il primo ospedale fu quello di Santo Spirito a Roma, il secondo fu quello di Santa Maria Novella, a Firenze costruito grazie ad una elargizione di Folco Portinari, il padre di Beatrice ricordata da Dante.
Nel 200-300 si riprese a fare la dissezione. Si ebbe un certo periodo di stallo intorno al 1299 perché il papa Bonifacio VIII (vendette la Sardegna ai Catalani) promulgò una bolla papale chiamata "De sepolturis", in cui si vietata la manipolazione dei cadaveri, cioè questi non potevano essere bolliti e ridotti in scheletro. Questo aveva due scopi principali: 1) limitare il florido commercio di reliquie; 2) si era sviluppato (soprattutto ad opera dei navicellari napoletani) un florido commercio di ossa di guerriero supposto morto in terra santa.
La bolla cui si è accennato non aveva alcuna intenzione di impedire le dissezioni, però in pratica le bloccò. Pochi anni dopo, le dissezioni ripresero grazie ad altri papi che capirono l'equivoco e divulgarono delle bolle che permettevano le dissezioni in particolari periodi dell'anno (soprattutto in quaresima sulle donne, da taluni ritenute prive di anima, e solo successivamente sugli uomini). Da illustrazioni dell'epoca appaiono chiari il ruolo assunto nella pratica della dissezione dal medico togato (laureato, legge Galeno) e dal chirurgo inserviente: il primo indossava una lunga toga da cui spuntano solo le scarpe (per evidenziare la sua statura culturale), mentre il secondo, che è colui che opera, indossa una corta veste che lascia scoperte le gambe per dimostrarne il rango inferiore. Le ossa del cadavere, mostrate dal chirurgo, erano ossa umane, quindi diverse da quelle descritte da Galeno (ossa di maiale) e chi aveva ragione non era la natura ma Galeno: era uno scherzo della natura quello di far vedere le ossa come dritte quando in realtà erano curve. Le asserzioni di Galeno costituivano un dogma che non poteva essere criticato.
I chirurghi non avevano accesso alle conoscenze anatomiche perché non conoscevano il latino, ragion per cui l'anatomia diventava una sorta di esercizio filosofico. La prima dissezione ufficiale fu praticata all'università di Bologna da Mondino de' Liuzzi (1270- 1326).
Nel frontespizio dell' Anatomia Mundini si vede che la dissezione era qualcosa di mediato, un commento ai testi galenici. Mondino fu il più importante dei precursori di anatomia vera e propria. Ci furono altri anatomici come Guido da Vigevano che faceva dissezioni sui cadaveri appesi.
Per capire per quanto tempo andò avanti la pratica di sezionare gli animali, nel frontespizio di uno dei primi libri di anatomia in italiano (1632), tradotto dal trattato scritto in spagnolo da Juan de Valverde e conservato nella Biblioteca di Cagliari. Nel libro (1632) si vede un cranio con a destra e a sinistra il maiale e la scimmia a coda corta (animali fondamentali della anatomia galenica).
Chi praticò l'anatomia reale furono gli artisti. Alcuni di essi rinunciarono al salario per avere a disposizione delle salme dai vescovi (Leonardo, Michelangelo). Soprattutto Leonardo da Vinci (1452-1519) fu un finissimo anatomico. Fece numerosissime scoperte che vennero riprodotte fedelmente nei fogli che rimasero più o meno segreti, sino a quando un allievo di Leonardo li vendette, nel 1600, ai reali d'Inghilterra, ed oggi costituiscono il codice Windsor. Però l’opera leonardesca non influenzò affatto l'anatomia. Leonardo, in verità, voleva fare un atlante insieme ad un anatomico, Marco Antonio della Torre, che però morì giovanissimo. Anche Michelangelo Buonarroti (1475-1564) voleva fare un atlante di anatomia insieme a Realdo Colombo, ma anche questo si concluse nel nulla. Accanto allo studio anatomico che era praticato dagli artisti, ci fu chi mise in discussione tutta la teoria ippocratica-galenica: Paracelso (1493-1541) medico filosofo (con vene di pazzia). È considerato il fondatore della iatrochimica, ma in realtà era un alchimista, poichè dava importanza agli elementi chimici. Gli elementi chimici che lui considerava alla base dell'universo erano il sale, lo zolfo, il mercurio (qualcosa che tutto sommato si rifaceva alla concezione degli elementi). Praticava l'alchimia: diceva che alla base delle malattie c'è un'alterazione della chimica di questi elementi. Per la prima volta utilizzò l'etere e si accorse che questo composto aveva capacità anestetiche (questa pratica andò scemando e venne riscoperta in America 300 anni più tardi). Utilizzò anche il Laudano per lenire i dolori e altri composti chimici come l'antimonio. La sua fisiologia rimase piuttosto confusa anche se certamente in opposizione con quella galenica.
La religione cattolica non presenta impedimenti contro la dissezione, perchè il corpo è solo un elemento per contenere l'anima, infatti: pulvis eris, pulvis reverteris. Ci furono dei grandi anatomici che iniziarono a praticare l'anatomia da soli, senza l'interposizione del servo chirurgo: ad esempio Berengario da Carpi (1460-1530), Giambattista Canani (1515-1579); ma il grande sviluppo dell'anatomia si ebbe grazie ad Andrea Vesalio (1514-1564) (figlio del farmacista dell'imperatore Carlo V).
Dopo aver frequentato università famose, come Parigi, ed aver ricevuto una educazione classica galenica, quando era ancora molto giovane, divenne professore di anatomia a Padova. Pubblicò un’opera monumentale nel 1543 "DE HUMANI CORPORIS FABRlCA" in cui descriveva il corpo umano visto in una dissezione operata da lui stesso. La dissezione divenne autopsia nel senso ellenistico, qualcosa che si vedeva con i propri occhi. Si può notare l'orgogliosa affermazione dell'uomo rinascimentale che diceva: le cose che descrivo sono quelle che vedo Io! Nel frontespizio della sua opera osserviamo l'anatomico (Vesalio stesso) che opera direttamente sul cadavere. Questa tavola è opera del pittore che servì a Vesalio per fare i disegni che corredano il libro: Giovanni Stefano Calcar allievo di Tiziano. Nelle tavole di Calcar c'è una raffigurazione molto precisa del corpo umano: in piedi e con paesaggi di fantasia. Le tavole non venivano in genere colorate perchè era troppo dispendioso. Vesalio corresse Galeno in 250 punti. Però non attaccò la concezione galenica del movimento del sangue anche se lo demolì, dimostrando che non esisteva il circolo mirabile, né pori nel cuore, ma li si fermò. Nello stesso anno venne pubblicato il "DE REVOLUTIONIBUS ORBIUM CELESTIUM", di Nicolò Copernico, libro che confutava la teoria geocentrica della terra.
Il 1543 è l'anno della storia dell'uomo da ricordare perché vengono confutati due tra i più importanti miti scientifici dell'epoca: la concezione ANTROPOCENTRICA e la concezione 

GEOCENTRICA.
Gli studenti vi si recavano divisi per nazioni e parlavano il latino. A Padova si riuscì, fin dall'inizio, a fare in modo che le lauree non venissero conferite dal Vescovo (come in tutte le altre università, con la bolla papale); venivano, però, conferite dal sindaco. Il fatto ebbe una importanza notevolissima perché dopo la controriforma (mentre nelle altre università cattoliche i protestanti non andavano più perché dovevano giurare fedeltà alla Chiesa Cattolica) a Padova, perché in questo campo la repubblica di Venezia rifiutò l’imposizione del papato, continuavano a frequentare numerosi protestanti. L'intolleranza religiosa dovuta alla controriforma fu una delle cause del declino delle università italiane. A Padova Vesalio ebbe dei grandi successori.
La storia di Vesalio é per certi versi oscura. Poco dopo aver pubblicato il libro (non aveva ancora 30 anni) lasciò l'insegnamento. Secondo alcuni ciò fu determinato dalle critiche dei galenisti (che erano feroci) in realtà pare che il motivo fosse un altro. Ebbe un'offerta, assai allettante dall'imperatore Carlo V, che gli propose di diventare suo medico personale. Vesalio accettò, ma dopo un certo periodo pensò di tornare a Padova perché il Senato veneto lo richiamò in patria. Purtroppo ebbe un incidente: (il suo protettore, Carlo V, era morto ed il successore, Filippo II, non gli era molto affezionato) fece una dissezione di un uomo che pare non fosse morto. Intervenne l'inquisizione , Vesalio fu processato e riuscì ad ottenere il perdono grazie alla promessa di un pellegrinaggio in Palestina. Andò in Palestina con in tasca un brevetto del senato veneto che lo rivoleva a Padova, ma nel viaggio di ritorno, quando la nave attraccò all'isola di Zante, morì, probabilmente di peste. Venne sepolto a Zante, ma non si conosce la sua tomba (1564).
Fu uno dei più grandi geni dell'umanità perchè infranse il grande dogma galenico e affermò l'anatomia come scienza dovuta all'osservazione diretta.
Anatomici successori di Vesalio furono: Realdo Colombo (1510-1559), Gabriele Fallopia (1523-1562), Girolamo Fabrici di Acquapendente (1533-1619). Si ricorda anche Giulio Casserio (1552-1616), inserviente non colto che studiò il Latino e divenne Professore. Fu il fondatore della anatomia comparata (diede un grosso contributo allo studio della laringe). Altro grande anatomico, che operò a Roma fu Bartolomeo Eustachi (1500/1510-1574): scrisse un trattato quasi superiore a quello di Vesalio, non dal punto di vista artistico, ma dal punto di vista scientifico. Questo trattato scomparve fino agli inizi del 700, quando Lancisi lo scoprì, ma riuscì ad influenzare ugualmente la scienza: conteneva dettagli che Vesalio aveva omesso.

Fabrizio di Acquapendente (1533-1619) fu un grandissimo chirurgo e fu professore di Anatomia a Padova dal 1565 al 1616. Fu anche lo scopritore, nel pollo, dell'organo linfatico poi noto come borsa di Fabizio, diede importanti contributi all’anatomia degli organi di senso ed all’embriologia. Pubblicò numerosi trattati di chirurgia e fu il maestro dello scopritore della circolazione del sangue (vedi). Costruì a Padova il primo teatro anatomico stabile al mondo. Il teatro era circolare, gli studenti stavano in piedi ed il tavolo era al centro, in modo da avere una visione precisa del cadavere disteso sul tavolo. Sotto il tavolo c'era un canale che serviva per eliminare i rifiuti e far arrivare i cadaveri. Gli altri teatri fino ad allora conosciuti erano mobili. Da allora l'anatomia divenne qualcosa di sociale in quanto le dissezioni diventavano eventi mondani cui partecipava anche la popolazione colta. A Fabrici di Acquapendente si deve anche un altro merito: la produzione di un atlante anatomico interamente colorato. Affidò il lavoro a valenti pittori rimasti sconosciuti e regalò le tavole (oltre 200) alla biblioteca Marciana di Venezia, dove rimasero sconosciute fino al 1910, quando l'anatomico Giuseppe Sterzi, già docente a Cagliari, le ritrovò. Le tavole dipinte di Fabrizio, meravigliose dal punto di vista artistico, contengono la raffigurazione di molte scoperte di anatomia ed erano assai conosciute ed ammirate dagli studiosi di tutta Europa.
La più celebre anatomia mai eseguita è quella di Rembrandt, conservata al museo dell'Aia. Artisticamente è uno dei migliori quadri al mondo: si osserva Nicolaus Tulpius (1593-1674), che aveva studiato a Padova, che illustra ai suoi colleghi una dissezione. Dal punto di vista anatomico, però, è un disastro. Questo sta a dimostrare come l'anatomia diviene una specie di natura morta. Le prime anatomie italiane sono rappresentazioni di macellerie. Tra i pittori più famosi ricordiamo Bartolomeo Passarotti della scuola Bolognese (50 anni prima di Rembrant) autore di una anatomia che rappresenta la dissezione di un cadavere alla presenza di personaggi famosi.
La chirurgia andava avanti come nel medioevo, dove c'era stato un blocco dell'attività chirurgica dei monaci. A seguito delle disposizioni dei Concili di Tours (1163) e Laterano quarto (1215), i monaci avevano lasciato la chirurgia che veniva praticata da persone non colte. Nell'Umbria e nelle Marche, vicino a Norcia e a Preci, l'abbazia di santo Eutizio era un importante centro di cultura chirurgica. I monaci istruivano i contadini del luogo. Norcia era, tra l'altro, già nota per la tradizione millenaria della castrazione degli animali (c'era già gente che aveva una certa pratica chirurgica). I Norcini (da Norcia), i Preciani (da Preci), i Cerretani (da Cerreto, detti anche ciarlatani per l'abilità nel vendere pozioni curative) diventarono artigiani abilissimi e tramandarono di padre in figlio i segreti chirurgici. I Preciani diventarono famosi soprattutto per la cura dell'occhio (da ricordare la famiglia degli Scacchi). I Norcini facevano operazioni di chirurgia plastica molto avanzate, operavano di cataratta, estrazione di calcoli. Essi praticavano anche la castrazione dei bambini per procurare voci bianche per i cori delle chiese in quanto le donne non vi erano ammesse.
La chirurgia spicciola (estrarre denti, curare ferite, ecc..), era praticata dai barbieri: la loro insegna è ancora oggi il bastone a strisce spirali bianche (come le bende) e rosse (come il sangue).

Lo sviluppo dell'anatomia portò all'utilizzo della stessa per la chirurgia, rimanendo però riservata all'elite. Ci furono medici famosi che divennero anche chirurghi . In Francia Ambroise Parè (1510-1590) chirurgo illetterato, ma conoscitore dell’anatomia, creò la confraternita di Cosma e Damiano, staccata da quella dei barbieri (non erano ancora medici togati perché non conoscevano il latino in maniera ufficiale). Operarono in Francia dal 500 in poi. Ambroise Parè, divenuto famoso e chirurgo del Re, viene ricordato anche perché divulgò la notizia di non usare l'olio bollente sulle amputazioni. Racconta in un suo trattato che mentre seguiva una campagna in Piemonte, e non aveva più olio bollente da mettere sulle gambe amputate (si pensava che l'olio bollente servisse per estrarre la materia peccans), un norcino, sulla scorta di quanto pubblicato da Bartolomeo Maggi (1477-1552), gli consigliò di usare l'olio di rosa (che contiene fenolo, un blando disinfettante) e con grande meraviglia si rese conto che i malati trattati con olio di rosa stavano meglio di quelli trattati con olio bollente. Diede importanza estrema all'anatomia e alle dissezioni come base della pratica chirurgica.

Il secolo XVII: Rivoluzione Scientifica. Circolazione del Sangue. La dottrina del Contagio. La caccia alle streghe. 

Fabrizio Hildanus (1545-1599) sosteneva che non si doveva far venire il pus nelle ferite di seconda intenzione e che si doveva procedere alla legatura dei vasi prima delle operazioni. Gaspare Tagliacozzi imparò il metodo di ricostruzione del naso dai Norcini, che operavano soprattutto nell'Italia meridionale. La ricostruzione del naso era importante, visto che era soggetto a distruzione per via di molte malattie, come la tubercolosi e la sifilide, e per via delle frequenti mutilazioni della faccia dovute alle armi da fuoco.
Il metodo di Tagliacozzi era quello di prelevare un lembo cutaneo dal braccio con cui ricostruire il naso.
Divenne celeberrimo in tutta Europa e venivano da tutto il mondo per farsi curare da lui, la sua opera fu continuata da un allievo, ma per poco tempo, perché la pratica chirurgica decadde. Era l'epoca della Controriforma e dell’Inquisizione, ed alcuni individui, dopo la morte, lo accusarono di essere stato un mago che aveva manipolato ciò che era stato creato da Dio. Così il cadavere del Tagliacozzi fu, sia pure solo per alcuni mesi, estratto dalla tomba e sepolto in zona non consacrata Fu però assolto e la sua salma fu ricollocata nella cappella originaria, demolita nel primo ottocento. Il suo lavoro è comunque rimasto grazie ad un suo trattato sulla chirurgia plastica. (DE CURTORUM CHIRURGIA PER INSITIONEM). Alla morte di Tagliacozzi la sua tecnica operatoria fu continuata per alcuni decenni dal suo allievo Giovanni Battista Cortesi (1553?-1533?) trasferitosi all'Università di Messina.
Questa chirurgia venne riscoperta solamente nell'800 inoltrato quando venne usato il sistema della rinoplastica indiana, che era più semplice ma anche molto più deturpante. Consisteva nel togliere dei pezzi di cute dalla fronte e metterli sul naso; in pratica bisognava girare un lembo di cute, ma il problema era che rimaneva una cicatrice molto brutta sulla fronte.
La fine del '500 e il '600 furono caratterizzati dalla rivoluzione scientifica operata in gran parte da Galileo Galilei (1564-1642). Questi era figlio di un famoso musicista pisano ed il padre avrebbe voluto che si laureasse in medicina, ma lui preferì interessarsi di matematica. Fu il primo a introdurre il calcolo matematico negli esperimenti scientifici. Galileo abbracciò la teoria democritea, in contrapposizione alla teoria aristotelica finalistica secondo cui tutto quello che accade in natura ha uno scopo. Democrito sosteneva che l'universo e gli organismi erano formati da atomi in un continuo e casuale movimento, quindi la filosofia democritea si basava sull'osservazione e non sul finalismo come era quella di Aristotele: sul come, non sul perchè.
Galileo diede notizia nel Sidereus Nuncius di essere riuscito a dimostrare sperimentalmente la teoria di Copernico: infatti utilizzando il cannochiale vide i satelliti di Giove e dimostrò che al centro dell'universo era il sole, non la terra; provò quindi che la teoria Tolemaica era falsa. Per queste dimostrazioni Galileo ebbe grossi problemi con l'Inquisizione; quando lasciò Padova, presso la cui Università insegnava, fece l'errore di andare a Firenze, città che allora era molto condizionata dal papato, al contrario di Venezia che invece godeva ancora di una certa autonomia perchè politicamente forte e lontana da Roma. Fu perseguitato dall'Inquisizione.
Galileo ebbe anche il merito di usare i mezzi ottici, non solo per vedere le cose grandi ma anche per vedere quelle piccole, e consigliò ai suoi allievi di usare “l’occhialino”. Fu probabilmente Francesco Stelluti (1577-1652), un suo allievo, a chiamare lo strumento microscopio. C'è una tradizione senza nessuna base storica, secondo cui chi scoprì il microscopio fu l'olandese Zacharius Jansen; in realtà l'unica cosa certa è che costui costruiva lenti. L'uso del microscopio per osservare le cose invisibili è da attribuire solo a Galileo; ciò è documentato in una sua lettera in cui esorta i suoi allievi a usare il microscopio.
Sicuramente l'apporto più importante alla scienza fu l'uso della matematica, necessaria per quantizzare l'esperimento.
Poiché Galileo era un fisico egli aveva elaborato la teoria secondo cui il corpo umano era una macchina e gli organi delle minute macchine: bisognava pertanto ricercare la macchina elementare.
I microscopi di Galileo avevano dei grossi problemi perché presentavano dei difetti di rifrazione e riflessione della luce, per cui si vedevano molte immagini illusorie: ciò comportò feroci critiche al microscopio.
Marco Aurelio Severino (1580-1656). Nato a Tarsia (Calabria) fu professore di Anatomia e Medicina a Napoli. Egli abbracciò appieno la filosofia galileiana e usando il microscopio descrisse addirittura l'utero dello scarabeo (che, naturalmente, ne è privo). Dimostrò tuttavia che negli insetti ritroviamo gli organi che ci sono negli animali superiori; sosteneva anche che il microscopio doveva servire a vedere cose invisibili e che l'anatomia non doveva essere considerata come "arte del tagliare" ma servire per scomporre e per andare a ricercare gli atomi. (Anatomia dissutrix non dissectrix).
Severino fu anche un grande chirurgo e pubblicò (1632) il primo trattato illustrato di patologia chirurgica. A Napoli ci fu una epidemia di difterite e lui, praticando la laringectomia, salvò molte vite. In periodo di peste non scappò dalla città, come fecero molti altri medici, ma rimase a curare i malati; purtroppo però si ammalò anche lui di peste e morì.
Lo studio microscopico degli insetti evidenziò che cose che sembravano assolutamente grossolane erano invece molto complicate.
Molti allievi della scuola di Galileo, con degli artifizi, riuscirono a mettere in evidenza delle strutture molto fini, dando perciò il via alla cosiddetta anatomia scompositiva o artificiosa. Per esempio Giovanbattista Odierna (1597-1660) a Palermo, bollì l'occhio di una mosca e dimostrò che era formato da una miriade di cristallini che permettevano alla mosca di vedere a 360°. Oltre al microscopio si poteva usare il microscopium naturae; infatti Auberio, che era un allievo di Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679) a sua volta allievo di Galileo, per dimostrare come era fatto il testicolo studiò quello del maiale, animale che aveva già colpito Galeno proprio perché gli organi vegetativi erano simili a quelli dell'uomo, e mise in evidenza i tubuli seminiferi, la struttura dei tubuli efferenti e l'epididimo, che poi furono comparati con quelli dell'uomo.
Quindi qualsiasi metodo andava bene pur di riuscire a capire come è costruito e come funziona il corpo umano.
Il fatto che la matematica e la misurazione dell'esperimento fossero cose essenziali portò a delle conseguenze qualche volta al limite del possibile; per esempio ci fu un grande scienziato Santorio Santorio (1561-1636), istriano e allievo della scuola galileiana, che trascorse gran parte della sua vita in una bilancia dove si pesava quando mangiava e dopo aver defecato, misurando ciò che rimaneva dopo aver mangiato: ebbe così l'intuizione dell'esistenza del metabolismo. Egli capì anche che la sudorazione serviva all'eliminazione del calore; fu anche il primo a fare la misurazione del polso e ad usare il termometro per misurare la febbre.
La scienza galileiana aveva come base l'esperimento: bisognava dare un significato alle cose solo dopo averle osservate e misurate.

Gaspare Aselli (1581-1626) (scoperta dei vasi chiliferi). Era un medico milanese, professore all'Università di Pavia (a Milano l'Università non c'era). Facendo un esperimento su un piccolo cane, in cui voleva dimostrare come avvenivano le escursioni diaframmatiche e anche come potevano cessare con la resezione del nervo frenico, quando aprì l'addome sotto il diaframma vide una rete bianchissima nelle maglie del mesentere e si rese conto di aver fatto una grande scoperta, cioè di aver scoperto il quarto tipo di circolazione. Quando volle mostrare questa scoperta all'Università di Pavia usò un grosso cane randagio, ma dopo averlo aperto davanti a tutti non vide niente. Così Aselli, dopo un momento di sconforto, pensò che la differenza tra i due cani era che il primo aveva mangiato mentre il secondo cane, che era un randagio, non aveva mangiato. Allora decise di ripetere l'esperimento con un terzo cane, che aprì dopo averlo fatto mangiare. Questa volta finalmente vide la rete dei vasi chiliferi e poté dimostrare la loro esistenza all'Università. In seguito realizzò un atlante che conteneva le prime stampe a colori. Un grosso errore che fece Aselli fu quello di confondere un linfonodo con un organo che lui chiamò pancreas. Ancora non si conosceva il sistema linfatico, che verrà scoperto solo qualche decennio dopo: prima Jean Pequet (1622-1674) scoprì la cisterna del chilo e poi, l'intera circolazione linfatica venne descritta da un medico romano Giovanni Guglielmo Riva (1627-1677), e da Thomas Bartholin (1616-1680). Va ricordato che Bartolomeo Eustachi aveva già descrito il dotto toracico del cavallo nel 1564.
William Harvey (1578-1657). Studiò a Padova dove fu allievo di Fabrizio e di Casserio. Egli si interessò della circolazione del sangue. Innanzitutto misurò la quantità di sangue che c'è nel corpo (prese un animale a cui tagliò una vena e estrasse tutto il sangue) e vide che era molto limitata. Questo fatto era quindi in contrasto col concetto galenico secondo cui il sangue veniva continuamente prodotto per essere assorbito dalle strutture periferiche. 

1628: data storica in cui Harvey pubblicò il suo trattato intitolato Exercitatio Anatomica de Motu cordis et sanguinis in animalibus.
Harvey, usando le stesse tavole di Fabrizio d'Acquapendente, dimostrò che nelle vene il sangue non aveva decorso centrifugo, come invece sosteneva Galeno, secondo cui il sangue andava dal fegato alla periferia. Fabrizio aveva interpretato quelle tumefazioni che si vedono quando si comprime una vena (e dovute alle valvole venose) come delle porticine che servivano per rallentare il flusso dal centro alla periferia, Harvey dimostrò esattamente il contrario: infatti aveva visto che, mettendo un laccio ad una vena, che pertanto diventa turgida, e poi chiudendo altri due segmenti, il sangue non va dal centro alla periferia ma dalla periferia verso il centro. Quindi Harvey capì il meccanismo della circolazione venosa, capì che il cuore era come una pompa che metteva in circolo il sangue, ma non riuscì a trovare l'anello di congiunzione tra le arterie e le vene perché non riusciva a vedere i capillari. I capillari vennero poi scoperti, più tardi, da Malpighi negli animali a sangue freddo ed in quelli a sangue caldo da Spallanzani che confermò le precedenti osservazioni di  

William Cowper (1666-1709).
Questa nuova teoria ebbe diversi consensi ma anche molte critiche, anche perché il concetto della circolazione fu associato a idee politiche sulla circolazione del potere. Perciò Harvey all'inizio fu criticato moltissimo ma poi la sua teoria si affermò declassando il fegato che da organo principale divenne invece solo l'organo che secerne la bile. Addirittura ci fu il famoso anatomico Thomas Bartholin (maestro di Stenone) che pubblicò le exequiae del fegato.

Questione del contagio.

Nonostante nel '300 e nel '600 ci fosse stata la peste, e nonostante ci fossero molte malattie endemiche come la lebbra e la tubercolosi ( che allora non era considerata una sola malattia ma comprendeva 6 o 7 malattie diverse) non si sviluppò il concetto di contagio da organismi viventi (contagio vivo).
In pratica non si capiva come si trasmettessero le malattie: l'idea più accreditata era che gli odori (miasmi) portassero il contagio, ma non si capiva assolutamente quale fosse la via di trasmissione. Non c'era nessun concetto di igiene, i malati venivano messi su letti con lenzuola sporche che poi venivano riciclate senza lavaggio. Questo portò alla diffusione di malattie, soprattutto nelle zone molto affollate.
In Sardegna c'è il tipico esempio di come malattie come la peste attecchissero soprattutto nelle città, ma non nei villaggi. Il veicolo della peste è una pulce. In realtà sono i ratti che si ammalano di peste, poi la pulce la trasmette all'uomo, quando poi la peste diventa veramente epidemica allora c'è la peste polmonare che permette il contagio diretto uomo-uomo. La peste venne dall'Oriente e pare che sia stata portata a Messina da una nave di genovesi, scappati dalla città che presidiavano perchè era stata assediata dai turchi. Questi però avevano buttato dei cadaveri di appestati nella città, così alcuni marinai si ammalarono e portarono la peste nel 1347 a Messina da dove poi si diffuse in tutta l'Italia e in tutta l'Europa.
La scomparsa della peste fu favorita e dal fatto che intorno alla fine del 600 ci fu un'invasione di ratti marroni che soppiantarono il ratto nero, che era molto più recettivo alla peste, e anche perché si cominciò a evitare di costruire i solai in legno dove potevano albergare i topi (questo accadde soprattutto nelle zone calde). Un'altra ipotesi sostiene che ciò è dovuto alla comparsa di un germe meno virulento che permette l'immunizzazione dei ratti.
Quasi contemporaneamente alla pubblicazione dell'opera di Vesalio (1514-1564), c'era stato un famoso anatomo medico veronese Gerolamo Fracastoro (1478/9-1553), il quale diede il nome ad una malattia endemica che si era appena sviluppata: la sifilide.
La sifilide scoppiò per la prima volta in modo epidemico alla fine del '400 durante l'assedio di Carlo VIII a Napoli (1496); finchè l'Italia fu la nazione leader i napoletani chiamarono la sifilide male francese, mentre, quando l'Italia decadde, i francesi la chiamarono mal di Napoli. La sifilide forse era dovuta ad una recrudescenza di una malattia che ha cambiato fisionomia ma che era già endemica nell'oriente arabo, oppure un'altra teoria dice che venne portata dall'America ad opera dei marinai di Cristoforo Colombo. Si riconobbe subito che la sifilide era dovuta al contagio sessuale e si diceva che si era sviluppata dall'amplesso di una prostituta con un lebbroso.
Fracastoro diede il nome alla sifilide in un famoso poemetto, dedicato a Pietro Bembo, e parlò anche del legno santo che era uno dei principi terapeutici di allora: si trattava di un legno (guaiaco) che provocava una grande sudorazione. Si pensava che anche la sifilide fosse una malattia da curare secondo i principi ippocratici, per cui bisognava eliminare la materia peccans: in questo caso si doveva togliere l'eccesso di flemma con l'uso di farmaci che provocassero la sudorazione, come il legno guaiaco e il mercurio. La sifilide è una malattia che fece la fortuna dei medici perché nel 30% dei casi guariva da sola e, quando un malato guariva, il medico sosteneva che era merito delle sue cure, anche se in realtà non era così. Per combattere la sifilide si somministrava il mercurio che essendo tossico per le ghiandole salivari e per quelle sudoripare, provocava una secrezione potentissima. Al tempo, il trattamento proposto per ovviare a ciò era quello di mettere un ferro incandescente sulla testa del malato, perché si credeva che la saliva ed il sudore derivassero dal cervello. Un altro effetto del mercurio era quello di annerire i denti, costringendo le nobildonne a limarsi i denti per nascondere il fatto che stavano facendo la terapia mercuriale contro la sifilide. Fracastoro sosteneva che esistessero degli organismi viventi invisibili, da lui chiamati seminaria, che portavano il contagio. Questi seminaria si potevano trasmettere non solo per contatto diretto ma anche con vestiti, lenzuola, oggetti.
Un'altra malattia che allora era endemica era la lebbra. La lebbra in Sardegna attecchì proprio perché è una malattia ad incubazione molto lenta (simile alla tubercolosi anche se i due microrganismi sono rivali, infatti dove c'è la lebbra non c'è la tubercolosi e viceversa). La lebbra è una malattia che si sviluppa nel giro di decenni, e in Sardegna c'erano molti focolai che andarono avanti fino all'età moderna (infatti è uno degli ultimi posti dove ci sono stati i lebbrosari). Occorre un contagio prolungato per prendersi la lebbra, quindi è difficile che le persone che girano molto la contraggano. La lebbra era considerata una malattia da temere, oltretutto aveva dei risvolti sociali molto particolari; infatti quando si scopriva che uno era lebbroso (siamo nel tardo medioevo e all'inizio dell'età moderna) gli veniva fatto addirittura il funerale e perdeva qualsiasi diritto. I lebbrosi venivano tenuti in luoghi appartati, ma venivano mantenuti a spese della comunità; questo spiega il perché di persone indigenti che per sopravvivere si dichiaravano lebbrosi, in modo da avere l'assistenza pubblica.
L’infame fenomeno della caccia alle streghe si è sviluppato tra la fine del XIV_secolo e l'inizio del XVIII secolo nell'occidente cristiano (sia in ambito cattolico che protestante). I criteri utili a riconoscere le streghe e a perseguirle come eretiche erano specificate nel famigerato libro: Malleus Maleficarum, scritto nel XV da due fanatici Domenicani tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, che ebbe una diffusione enorme (ben 34 edizioni ed oltre 30000 copie). Le "caccie alle streghe" si verificarono soprattutto tra la fine del 1400 e la prima metà del 1600. Le presunte streghe appartenevano in genere alle classi popolari ed erano per lo più donne sole o vedove, levatrici, erboriste, fattucchiere o prostitute. Molte "streghe" vennero ferocemente torturate e bruciate vive, con le motivazioni più varie e le “confessioni”, estorte con la tortura, utilizzate per incriminare altre disgraziate. Il fenomeno fu, con qualche eccezione, confinato al sesso femminile. I due ultimi processi in cui le “streghe” vennero condannate e arse vive avvennero uno nella Svizzera protestante (1782) e l'altro nella Polonia cattolica (1793).

Fine '600 - Inizio '700. Generazione Spontanea. Genesi acarica della scabbia. Anatomia microscopica. Le cere anatomiche.
Nel corso delle pestilenze, i medici giravano vestiti in modo un po' particolare: con una specie di becco d'uccello sul naso che conteneva una spugna con dei profumi, perché si credeva fossero gli odori a causare la malattia (tesi chiaramente falsa).
Verso la fine delle 600 (1668) ci fu un'importante scoperta da parte di Francesco Redi (1626-1698), allievo di Galileo: egli prese un grosso vaso e vi mise un pezzo di carne, poi coprì il vaso con una garza e notò che su questa si formavano delle uova che seminate poi sulla carne, davano luogo alle larve. Dimostrò quindi che la generazione spontanea non era valida.
Redi fu anche fondatore della parassitologia; fece degli importanti esperimenti su come debellare i vermi. Alcuni farmaci, tuttora utilizzati contro i vermi, sono stati introdotti da lui.
Un'altra malattia dei nostri antenati è la rogna (o scabbia) dovuta ad una specie di acaro (= atomo di carne), che veniva considerato una particella di materia peccans, perché si pensava che la rogna fosse dovuta ad un eccesso di melaina kolè, di bile nera, quindi bisognava curarla con delle sostanze che eliminassero questa melaina kolé, e non in modo topico. Cosimo Bonomo (1666-1696), allievo di Redi e medico delle galere (termine che noi usiamo per prigione ma al tempo erano le navi dove venivano mandati i carcerati che scontavano la pena remando, carcerati peraltro molto soggetti alla rogna) cercò il modo per debellarla e stabilì che, per eliminare la malattia, bastavano dei bagni antisettici, fatti per un certo periodo di tempo, per uccidere anche le larve derivate dalla schiusa delle uova deposte all'interno della cute. Grazie all'aiuto di Giacinto Cestoni (1637-1718), isolò l'acaro e lo descrisse come si vede al microscopio. Comunicò questo a Redi ed il tutto fu pubblicato nel 1687. Nel 1834 uno studente, Simone Renucci, corso, durante una lezione sulla scabbia tenuta all' ospedale San Luigi di Parigi dal famoso Prof. Alibert, fece notare al professore che in Corsica le persone malate venivano lavate con soluzioni disinfettanti. Il professore rimase sorpreso di ciò, poiché il trattamento scoperto da Bonomo era rimasto circoscritto alla Toscana poi esteso alla Corsica e Sardegna, ma non al resto dell'Europa.
In quel periodo, Marcello Malpighi (1628-1694), allievo di Galileo, sostenne che tutti gli organi erano formati da delle minute macchine, le ghiandole. Questo è vero e falso nello stesso tempo. Infatti è vero che si può riconoscere una struttura ghiandolare nel fegato, nel rene e nel polmone, ma questo non vale per il cervello o altri organi. Comunque Malpighi fece altre scoperte importanti: gli strati dell'epidermide, il glomerulo renale, i corpuscoli della milza, i globuli rossi, ma il suo genio deriva dall'essere riuscito a distinguere ciò che era artefatto da ciò che era realtà, perché i microscopi di allora davano immagini veramente fallaci. Scoprì inoltre i capillari nel polmone di rana (animale a sangue freddo) completando lo schema di Harvey. 

Antony Leeuwenhoek (1632-1723), commerciante di tessuti, appassionato di microscopi, tanto da costruirsene uno con le sue stesse mani, riuscì a vedere delle cose straordinarie che, non essendo dotto e non sapendole interpretare, mandava alla Royal Society di Londra che le pubblicava, dopo traduzione, senza commentarle. Per esempio, Leeuwenhoek si rese conto che esistevano degli esseri viventi piccolissimi nella placca dentaria. Una persona che usava il microscopio con lui, un suo allievo, scopri lo spermatozoo. Questo commerciante descrisse tantissime altre cose che però, essendo solo delle osservazioni, venivano ignorate e magari venivano apprezzate e verificate decenni dopo. 

Tornando a Malpighi, il concetto di ghiandola fu dato da un famoso scienziato danese, Niccolò Stenone (1638-1686) che per caso scoprì il "dotto di Stenone" che in realtà veniva considerato un vaso. Un professore di anatomia, Blasius, cercò di appropriarsi di questa scoperta e la pubblicò, suscitando l'ira di Stenone. Fece altri studi, e oltre a descrivere il dotto, descrisse anche le ghiandole, sostenne che la saliva, derivata dal sangue, veniva prodotta dalla ghiandola e veicolata dal dotto nella bocca. Stesso discorso per le ghiandole lacrimali: anche queste derivano le lacrime dal sangue. Stenone fece anche altre scoperte, per esempio fu il primo ad avere il coraggio di dire che il cuore era semplicemente un muscolo e non conteneva l'anima e a chiamare ovidutti le tube uterine, stabilì inoltre l'omologia tra le ovaie dei mammiferi e l’ovario degli uccelli; a Firenze si cimentò nello studio dell'anatomia della terra. Anche in questo campo fece importanti scoperte: fu il primo a scoprire i principi della sedimentologia, sostenendo che gli strati più antichi sono quelli più profondi, e a mettere in dubbio che la terra avesse solo quattromila anni. Formulò una legge (regola di Stenone) che permette di distinguere un cristallo di quarzo da un diamante: il cristallo cresce "non mutatis angulis" (con gli angoli uguali) e quindi si può riconoscere per gli angoli. Successivamente Stenone divenne prete e per questioni di coerenza abbandonò la scienza. Venne mandato missionario nelle regioni luterane e morì in condizioni di estrema povertà, avendo dato tutto ai poveri. Il granduca di Firenze Cosimo III, volle che il suo corpo fosse trasferito a Firenze e fu sepolto prima nella cripta, poi, nella basilica di San Lorenzo. Fu nominato beato e protettore degli scienziati nel 1988 da Giovanni Paolo II.
Tra i personaggi importanti della fine del 600 ci fu Bernardino Ramazzini (1633-1714). Ramazzini aveva un operaio che andava da lui a pulire i cessi, il quale, dopo qualche tempo, divenne cieco. Allora Ramazzini, incuriosito, fece delle indagini e accertò che anche altri lavacessi erano diventati ciechi. Stesso discorso per gli spazzacamini: molti avevano il cancro, Capì che molti lavori hanno un'influenza sulla salute e pubblicò un trattato sulla medicina del lavoro (DE MORBIS ARTIFICUM) dove descrive molte malattie legate alla situazione lavorativa.
I medici dell'epoca si rendevano conto di come la terapia fosse qualcosa di disastroso.
Thomas Sydenham (1624-1689) e Hermann Boerhaave (1668-1738) praticarono il ritorno all'ippocratismo, cioè alla cautela assoluta nel trattare il malato e affermarono che i luoghi di cura dovevano essere gli ospedali.
La prima clinica universitaria fu fondata infatti a Leida in Olanda, dove lavorava Boerhaave, università che era stata regalata, più di un secolo prima, dal principe d'Olanda agli abitanti come premio per avere valorosamente combattuto contro gli spagnoli nella guerra dell'indipendenza.
Per quanto riguarda la chirurgia del primo 700, i chirurghi dovevano operare rapidamente, perché più durava l'operazione, maggiori erano i rischi d'infezione; il paziente era tenuto fermo dagli inservienti e in genere, prima dell'operazione, veniva intervistato da un padre spirituale. La maggior parte dei chirurghi non conoscevano l'anatomia, erano considerati persone di scarsa cultura. Colui che promosse lo sviluppo della chirurgia nell'Europa centrale fu Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800) che fu arruolato nell'esercito austriaco come chirurgo. Era una persona molto intelligente, entrato nelle grazie del comandante del suo Reggimento, divenne il medico di Giuseppe II, primogenito di Maria Teresa, imperatrice d'Austria. Brambilla usò la sua influenza su Giuseppe II affinchè ai chirurghi venisse insegnato il latino, per poter studiare i testi scientifici e per essere quindi messi alla pari dei medici. La prima cosa da fare era l'insegnamento del latino e poi mostrare come era fatto il corpo umano. Perciò, grazie a lui, fu fondata una grande accademia a Vienna, lo Josephinum, in cui si praticava l'insegnamento del latino ai chirurghi; non solo: furono fatte arrivare da Firenze delle splendide cere anatomiche (tuttora presenti allo Josephinum) al fine di istruire gli allievi soprattutto in anatomia umana, scienza resa importante dall'insegnamento di Morgagni. Riuscì così a parificare medici e chirurghi; infatti nelle università imperiali è presente un simbolo di ciò: due donne, entrambe togate, che si tengono per mano e rappresentano rispettivamente: una la medicina, l'altra la chirurgia al di sopra di una scritta: "IN UNIONE SALUS".
Il pensiero di Brambilla si inserisce in un discorso che venne fatto a Firenze da Felice Fontana (1730-1805). Fontana, abate e prezioso consigliere del granduca di Firenze, ebbe l'idea, per istruire i chirurghi, di allestire dei calchi in cera di preparati anatomici. Questa idea era utile per tre motivi: 1) perché gli atlanti a colori costavano moltissimo, 2) perché i chirurghi non conoscevano il latino, 3) perché in assenza delle tecniche del freddo era difficile conservare i cadaveri. Quindi Fontana allestì al Museo La Specola di Firenze, con l'aiuto di vari anatomici, una vera e propria officina di ceroplastica in cui si facevano i calchi dei cadaveri, dapprima in gesso e poi si voltavano in cera ad opera di abili artisti.
Carlo Felice mandò l'anatomico Francesco Antonio Boi (1767-1855), nativo di Olzai, da Cagliari a Firenze, proprio per avere dei modelli in cera, da esporre nel suo museo. Le cere furone realizzate dal grande Clemente Susini su dissezioni effettuate dal Boi e sono dei veri capolavori che si possono tuttora ammirare nel Museo di Cagliari. Altro scienziato del primo 700 fu Domenico Cotugno (1736-1822) che scoprì il liquor cefalorachidiano, descrisse la sciatica, e notò per la prima volta la presenza di albumina nelle urine dei nefropatici. Luigi Galvani (1737-1798), anatomico a Bologna scoprì l'elettricità animale, anche se, secondo alcuni, parte del merito andrebbe riconosciuto alla moglie, la quale, mentre preparava delle rane, toccò con un cucchiaio di bronzo le zampe dell'animale e notò che si contraevano. In seguito a ciò Galvani fece esperimenti e parlò per la prima volta di elettricità animale. Volta, però, dimostrò che non era elettricità animale, bensì un fenomeno fisico.
Altro importante anatomico e chirurgo fu Antonio Scarpa (1752-1832), che operò a Modena e, soprattutto, a Pavia dove fu chiamato da Brambilla. Diede importanti contributi all'anatomia dell'occhio, dell'orecchio (endolinfa e timpano secondario), al trattamento chirurgico delle ernie ed a quello degli aneurismi. Scoprì il nervo naso-palatino ed insieme al Vicq D'Azyr i nervi olfattivi; descrisse i nervi cardiaci. Contribuì grandemente alla definizione dell'anatomia topografica, soprattutto di quella degli arti inferiori, ed è considerato, insieme a John Hunter il fondatore dell'Anatomia Chirurgica.

  
XVIII Secolo. Ancora sulle cere anatomiche. Anatomia clinica e Patologia d'organo. Spallanzani. Jenner.
Le cere anatomiche erano un mezzo visuale per insegnare e diffondere l'anatomia. L'anatomia era ancora un patrimonio dei medici dotti, che conoscevano il latino e che avevano accesso ai trattati e non dei chirurghi, personaggi di secondo piano, nella maggior parte dei casi barbieri, persone che non avevano avuto un'istruzione classica e nessun accesso alle opere scientifiche.
Le cere anatomiche furono prodotte su larga scala a Firenze e poi diffuse in tutta Europa. Descriviamo ora come si faceva un preparato anatomico: dell'organo in esame (ad esempio il cuore) si faceva un calco col gesso , che prima dell'indurimento si apriva in due con una cordicella e si riempiva di cera; poi, la cera veniva colorata ed infine la mano dello scultore rifiniva il tutto. Le cere di Cagliari furono fatte da Clemente Susini (l757-l8l4), e la mistura della cera contiene delle sostanze anche preziose, come scagliette d'oro e perle macinate, utilizzate per dare brillantezza alla cera stessa. le cere soffrono più il freddo del caldo, perché essendo la cera una mistura con altre sostanze a differente grado di dilatazione, quando la temperatura va sotto zero, basta una minima vibrazione per rovinarle. Questo a Cagliari non succede mai, per cui le cere di Cagliari hanno il privilegio di non essere mai state restaurate al contrario di quelle delle grandi collezioni di Firenze e di Vienna (Le cere di Vienna sono, in parte, copie di quelle di Firenze. Esse furono portate a Vienna per ordine di Giuseppe II, dietro suggerimento di Giovanni Alessandro Brambilla).

Giovanni Alessandro Brambilla (l728-l800) fu, per quanto riguarda l'Europa centrale, colui che parificò la chirurgia e la medicina. In altri paesi ciò era avvenuto in modo più fisiologico, cioè i chirurghi erano diventati talmente bravi che erano entrati nella categoria dei medici. Questo avvenne in Inghilterra dove visse un grande chirurgo: John Hunter (l728-l793). Hunter fece un esperimento su se stesso: poiché riteneva che non poteva esserci un soggetto con due malattie, per stabilire se la blenorragia e la sifilide erano due malattie diverse o no, si inoculò nel glande del pus proveniente da un soggetto con la blenorragia per vedere se sarebbe comparsa la blenorragia o la sifilide. In realtà si ammalò di sifilide perché quel soggetto aveva entrambe la malattie e fu fortunato perché la forma che contrasse non fu particolarmente grave, tanto che pensò di esserne guarito. Questo esperimento, che venne pubblicizzato in tutto il mondo, portò ad una confusione.

Luigi Rolando (l773-l83l) a Sassari fu autore del saggio "La vera struttura del cervello dell'uomo e degli animali. Egli dimostrò che il cervelletto era deputato alla regolazione del movimento e lo paragonò ad una pila voltaica; tornato a Torino, diede una descrizione completa delle circonvoluzioni cerebrali.
Il vero fondatore della medicina clinica moderna fu Giovanni Battista Morgagni (l682-l77l). Questi apparteneva come derivazione alla scuola galileiana, perchè era allievo di  

Antonio Maria Valsalva (l666-l723), il quale a sua volta era allievo di Malpighi, Malpighi di Borelli, e questi era allievo di Galileo.
Morgagni aveva una concezione iatrofisica; egli però non usava il microscopio, usava l'occhio: aveva la tendenza a cercare di scoprire il funzionamento del corpo umano inteso come macchina. Il Morgagni si riferì a delle precedenti pubblicazioni. Quella più accurata risaliva alla fine del '400: a Firenze c'era stato Antonio Benivieni (l443-l502) che aveva fatto diverse autopsie e le aveva correlate con la causa di morte; il suo libro è intitolato "De abditis morborum causis" (Le cause nascoste delle malattie). Un altro trattato pubblicato nel tardo 600 era stato il "Sepulcretum" di Theophile Bonet (l620-l689), in cui erano descritti molti casi di reperti ottenuti al tavolo anatomico. Però in tutti questi trattati manca la correlazione tra storia clinica e reperto anatomo-patologico.
Col Morgagni ci fu un ritorno al tripode alessandrino che consisteva nella storia clinica, nell'autopsia e poi nella diagnosi clinica. Il Morgagni raccolse ben settecento quadri autoptici, correlò il quadro autoptico con la storia clinica del paziente, dimostrò che per la stragrande maggioranza delle malattie vi era una patologia d'organo. Allora non c'erano mezzi per fare l'autopsia in vivo (autopsia intesa come nella concezione alessandrina, cioè come esame del malato con i propri occhi), quindi l'autopsia era veramente la dissezione, ma il concetto era quello di correlare la storia clinica con la malattia.
Il Morgagni è stato un anatomico celeberrimo, era chiamato sua maestà anatomica in Europa, perché aveva pubblicato alcuni appunti di anatomia: "Adversaria Anatomica", che divennero molto famosi per la revisione di strutture che erano già state descritte. La sua opera maggiore, una pietra miliare per la nascita della medicina moderna, apparve nel l76l in 5 volumi, dedicati alle più importanti accademie mediche nel mondo di allora. Fu pubblicato in latino ed intitolato "De Sedibus et causis morborum per anatomen indagatis" (Sulle sedi e le cause delle malattie studiate attraverso l'anatomia). Egli raccolse 700 casi clinici, alcuni appartenevano anche a Marcello Malpighi (l628-l694) e un buon numero erano appartenuti al suo maestro Antonio Maria Valsalva (l666-l723), anatomico che fece importanti scoperte soprattutto sull'orecchio. 

Questo trattato destò grande interesse in tutto il mondo di allora, tanto è vero che dopo due anni, la prima edizione era esaurita. Furono fatte molte altre edizioni e furono tradotte in tutte le lingue d'Europa. Una delle ultime edizioni fu in italiano, sia perché i dotti parlavano il latino (fino alla rivoluzione francese la lingua dei dotti era il latino), sia perché in Italia il "verbo morgagnesco" ebbe difficoltà ad attecchire. I principi di Morgagni invece, furono applicati all'estero e furono alla base dello sviluppo della clinica negli altri paesi. Influenzò però Domenico Cotugno ed ebbe come allievo Antonio Scarpa.
Proprio nello stesso periodo in cui Morgagni pubblicò il suo trattato, nel l76l, uscì in Austria un altro piccolo trattato "De Inventu Novo" in cui il figlio di un bottaio, Leopold Auenbrugger (l722-l809), descrisse la percussione come un mezzo per poter osservare in vivo le alterazioni degli organi toracici. Questo libro rimase lettera morta, fino a quando ai primi dell'800, il medico di Napoleone Jean Nicolas Corvisart (l755-l82l) lo riscoprì. Auenbrugger era ancora vivo, e a distanza di 30-40 anni dalla pubblicazione, ebbe la sua parte di gloria.
Nel 700 un problema molto importante era quello della respirazione e della combustione. Era stato ipotizzata da Georg Ernst Stahl (l660-l734) l'esistenza di una sostanza, il flogisto, che consumandosi dava il fuoco. Questo concetto però non spiegava alcuni esperimenti che erano stati fatti dalla scuola di Oxford. Per esempio, collocato un animale sotto una campana con una candela accesa, man mano che la candela bruciava l'animale dava segni di asfissia, fino a morire. Non si capiva quale nesso esistesse con il flogisto; si diceva che quell'aria era diventata "aria fissa". Fu un inglese, Joseph Priestley (l733-l804), il primo ad affermare che doveva essere qualche gas che veniva consumato.
Chi dimostrò che questo gas era l'ossigeno fu Antoine Laurent Lavoisier (l743-l794), grandissimo scienziato e fondatore della chimica moderna. Lavoisier venne ghigliottinato per la sua condizione di aristocratico. La storia dice che prese il fatto di essere ghigliottinato come una seccatura. 

Subito dopo la scoperta dell'ossigeno, l'abate Lazzaro Spallanzani (l729-l799), uno dei più grandi scienziati mai esistiti, mise in relazione il consumo di ossigeno con la respirazione tessutale. Lo Spallanzani era uno sperimentatore feroce: per dimostrare l'azione dei succhi gastrici infilò nel suo stomaco una spugnetta con dentro della carne che poi tirava fuori dopo alcune ore, per constatare l'effetto del succo gastrico. Era un vivisezionatore; capì anche che, durante il volo, i pipistrelli si orientano con gli ultrasuoni. Spallanzani è famoso soprattutto nel campo della riproduzione. Fu il primo a dimostrare, mettendo delle specie di "mutande" al rospo maschio, che, senza il contatto del liquido seminale con l'uovo, non si aveva la fecondazione. Fu il primo che operò la fecondazione artificiale nella cagna. Confermando quanto visto da William Cowper (nel l702) nel mesentere del gatto e del cane, dimostrò la presenza dei capillari nel pollo, chiudendo il cerchio del circolo sanguigno anche negli animali a sangue caldo. Tra le scoperte più importanti dello Spallanzani (per cui Pasteur lo riverì come il più grande scienziato mai esistito) vi fu quella di aver confutato la tesi della generazione spontanea. Il problema della generazione spontanea era fermo ancora a Redi, che aveva dimostrato che gli insetti derivavano da altri insetti. C'erano stati dei precursori, per esempio, tra gli italiani, Antonio Vallisneri (l66l-l730), medico padovano, che aveva sostenuto l'esistenza di "Semi" in aria, simili a quelli descritti da Fracastoro; Carlo Francesco Cogrossi (l682-l769) aveva affermato che nella peste bovina c'erano degli organismi viventi che trasmettevano la peste. Entrambe queste tesi però erano cadute nel vuoto.

Un irlandese, John Turbeville Needham (l7l3-l78l), pensava che gli "infusori" (che si vedevano anche coi microscopi dell’epoca, perché erano dei protozoi) derivassero dal fluido contenuto nella fiasca, e quindi derivassero dalla materia e non da altri protozoi. Questo esperimento fu condiviso da Georges Buffon (l707-l788), il più grande naturalista dell'epoca. Ma Spallanzani lo confutò, dimostrando che se si praticava veramente una sterilizzazione (fu lui il primo che mise in atto questo procedimento, applicato successivamente anche da Pasteur) col calore i protozoi non si formavano. Quindi dimostrò che per avere dei protozoi bisognava avere altri protozoi. Questa fu la prima dimostrazione che esseri molto piccoli derivavano da altri esseri molto piccoli.
Alla fine del l700 ci fu una grande scoperta di carattere empirico. Un chirurgo inglese  

Edoardo Jenner (l749-l823), allievo di John Hunter, si accorse per caso che le mungitrici, che avevano in passato contratto il vaiolo bovino, quando si ammalavano di vaiolo guarivano sempre. Il vaiolo allora era la malattia più terribile. La peste si era placata a causa del cambio dei ratti e delle migliori condizioni igieniche. Vi erano ancora flagelli terribili come la tubercolosi, però il vaiolo colpiva soprattutto i bambini.
C'erano stati già tentativi precedenti risalenti al tardo '600 di indurre la resistenza alla malattia col sistema della vaiolizzazione. La vaiolizzazione era il sistema di innesto del vaiolo: si prelevava, da un malato che stava per guarire, un po' di pus e lo si iniettava ad un soggetto sano, provocando il vaiolo. Molte volte questo procedimento era letale e molti bambini morirono. La vaiolizzazione era stata promossa dalla moglie dell'ambasciatore inglese a Costantinopoli (Lady Montagu), perché nell'oriente si praticava da tempo tale sistema. La stessa era poi stata introdotta in Italia dai medici greci che operavano soprattutto a Venezia. Questi avevano trovato un grande fautore nel Papa Benedetto XIV (Papa Lambertini) il quale cercò di introdurre la vaiolizzazione nello stato pontificio.
La scoperta di Jenner risolse il problema del vaiolo. Jenner fece la prima inoculazione sul figlio di 8 anni del suo giardiniere: prese un po' di pus dalla pustola di una vacca, lo iniettò e vide, dopo che si era formata la pustola del vaccino (che si chiamava ancora innesto), che il bambino era immune dal vaiolo. Successivamente inoculò anche il proprio figlio di 1 anno. La vaccinazione destò un interesse grandissimo, anche se ci fu una violenta opposizione da parte di certi ambienti, soprattutto ecclesiastici nei quali essa venne ritenuta un insulto al creatore essendoci una commistione tra il bruto, cioè l'animale, e l'uomo. Quindi questa vaccinazione venne praticata su larga scala perché le idee della rivoluzione francese prevalsero. Al di fuori dell'Inghilterra, divenne la bandiera della sinistra, dei giacobini. I giacobini vaccinavano, i codini (reazionari) no.
In Italia un milanese Luigi Sacco (l769-l836) diffuse negli stati della repubblica cisalpina la vaccinazione, per cui ci fu un crollo verticale della morbilità del vaiolo.

Pietro Leo portò la vaccinazione in Sardegna. Egli fu anche professore di anatomia; aveva imparato a vaccinare durante la rivoluzione francese a Parigi. Altri fautori della vaccinazione in Sardegna furono Francesco Antonio Boi e Sebastiano Perra (l772-l826) che scrisse (l808) un libro su di essa. Dopo un primo periodo in cui venne praticata saltuariamente, la vaccinazione si diffuse più tardi ad opera di un altro professore di anatomia: Giovanni Falconi (l8l7-l900).

Nel l794 Philippe Pinel (l743-l825), preceduto in Italia da Vincenzio Chiarugi (l759-l820), liberò i folli dalle catene, affermando che si trattava di malati e non di delinquenti.
Riprendiamo ora il discorso della Scuola di Spallanzani. Tra gli allievi di questi ci fu Giuseppe Baronio (l759-l8ll) che, proprio sulla scorta di quello che aveva appreso da Spallanzani, fece i primi innesti di cute negli animali, divenendo un precursore dell'innesto cutaneo e della chirurgia plastica. Altro allievo fu Agostino Bassi (l773-l856), avvocato, figlio di un ricco proprietario terriero, il quale aveva la passione per la biologia. Il padre non voleva che facesse il biologo, ma che si occupasse delle sue terre e che entrasse nella amministrazione imperiale. Egli comunque seguì costantemente le lezioni dell'abate Spallanzani, fino a quando questi morì. Un giorno le sue bigattaie (le bigattaie sono i filari su cui si conservano i bachi da seta) furono funestate da una malattia terribile, il mal del calcino o del calcinaccio o moscardino, che uccideva improvvisamente i bachi, riducendoli a dei pezzi di gesso. Il Bassi, messosi pazientemente a studiare per cercare di capire se c'era un organismo vivente alla base di questo fenomeno, scoprì un fungo, che fu chiamato Botritis o Beauveria bassiana, che provocava la morte dei bachi. Egli trovò anche un disinfettante per difendersi da questo fungo e per ripulire le bigattaie. Il suo trattato "Del Mal del Segno, Calcinaccio o Moscardino" venne tradotto in francese e diffuso in Europa. Subito dopo ci fu la scoperta dell'eziologia fungina di certe malattie come la tigna dei capelli. Il lavoro di Bassi influenzò moltissimo Louis Pasteur (l822-l895) (nello studio di Pasteur c'erano sia il ritratto di Spallanzani, sia quello di Bassi).
Allora si vedevano solo i funghi e i protozoi, il microscopio non era ancora arrivato a visualizzare i batteri. Solo negli anni 20 dell'800 Gian Battista Amici (l786-l863), un astronomo che costruiva telescopi, inventò il prisma di riflessione. (Poi il microscopio fu perfezionato soprattutto da inglesi e tedeschi). Questo permise un aumento del potere di risoluzione del microscopio.

Il Bassi nel suo libro scrisse: "sarei molto lieto se in futuro le mie scoperte potranno servire ad aprire la strada allo studio e alla cura delle malattie che uccidono l'uomo, tra cui il colera". Proprio su questa indicazione un anatomico italiano Filippo Pacini (l8l2-l883) scoprì nelle feci dei colerosi il vibrione colerigeno, però la scoperta era troppo avanzata e rimase lettera morta.
Nel 1883 il tedesco Robert Koch (l843-l9l0) scoprì il vibrione del colera, ma ci si accorse che in realtà la cosa era stata già descritta in modo chiarissimo da Pacini. Ci fu un lungo contenzioso che fu risolto dando la priorità a Pacini; dal punto di vista pratico questa priorità era stata ininfluente perché non si diffuse nell'ambiente scientifico, essendo troppo precoce.


Prima parte del XIX Secolo. La Semeiotica. L'Assistenza. La Patologia Cellulare. La Microbiologia. 

Laennec, allievo di Corvisart (medico di Napoleone), ideò la costruzione di un tubo che chiamò stetoscopio, il precursore dei fonendoscopi moderni, che permetteva l'ascoltazione del respiro, dei battiti e soffi cardiaci etc.
Già nel primo '700 tutti i tempi del processo semeiologico: osservazione, palpazione, percussione e ascoltazione sono stati messi a punto. Laennec, che poi morì di tisi, diede dei contributi molto importanti alla definizione di molte malattie polmonari: le polmoniti, la tubercolosi, che ancora non era considerata una malattia unica, ma si pensava che esistessero almeno tre tipi di malattia (tisi o consunzione, lupus, scrofola [era la TBC linfoghiandolare]). Diede importantissimi contributi anche alla semeiotica cardiaca.
L'importanza dello stetoscopio derivava dal fatto che non si poteva ascoltare con l'orecchio il petto di una donna: era assolutamente impensabile che un uomo potesse poggiare l'orecchio a contatto con la mammella di una donna, e tale strumento serviva soprattutto a questo. 

Manuel Garcia (1805-1906) era un tenore che, per vedere come erano le sue corde vocali, inventò il laringoscopio. Nel 1851, il fisico Hermann Ludwig Helmholtz (1821-1894), che diede importanti contributi alla conoscenza della fisiologia dell’occhio e dell’orecchio, inventò l’oftalmoscopio per l’esame del fondo dell’occhio. In questo periodo venne inventato l'esofagoscopio: un medico vide un ingoiatore di spade ed ebbe l'idea di mettere anziché la spada una luce all'estremità di un tubo per vedere l'esofago. Si illuminava dall'alto con la fiamma della candela che rifletteva su uno specchietto e permetteva di vedere, tramite un tubo cavo, l'interno dell'esofago.
Uno dei problemi più importanti della chirurgia, a parte la sepsi, perchè si operava a mani nude, era il fatto che non esisteva l'anestesia. Fu scoperta casualmente in America da diversi personaggi tra cui Horace Wells (1815-1848) e William Green Morton (1819-1868). In America, durante le feste, si faceva uso di etere, e capitava che le persone, sotto quest'effetto, non sentivano più il dolore. Questo venne subito utilizzato per l'estrazione dei denti. Successivamente ci fu una terribile disputa su chi l'avesse scoperto per primo, tant'è vero che fu messo in palio un premio, mai riscosso.
Oltre all'etere si utilizzavano il protossido di azoto ed il cloroformio; l'anestesia con cloroformio fu praticata da John Snow (1813-1858) alla regina Vittoria d’Inghilterra, in occasione del parto del principe Leopoldo.
Nello stesso periodo ci fu la comparsa delle istituzioni sanitarie, la prima di queste fu la Croce Rossa. Avvenne per un episodio nel corso della battaglia di Solferino: c'era un ricco finanziere svizzero, Henry Dunant (1828-1910), che aveva degli interessi minerari in Algeria e che, per avere una concessione, doveva conferire direttamente con l'imperatore Napoleone III. Questi stava nel campo di battaglia e Dunant si recò a Solferino. Non potè parlare con l'imperatore, ma rimase talmente impressionato dallo stato nel quale venivano lasciati i feriti sul campo di battaglia che subì una sorta di folgorazione: lasciò perdere tutte le sue attività per dedicarsi a questo problema e, con molti sacrifici (divenne poverissimo), riuscì a convincere i governi a far sì che venisse istituita questa associazione neutrale che, in onore della Svizzera, fu denominata Croce Rossa. La bandiera della Croce Rossa è il negativo della bandiera della Svizzera.
Ci fu un congresso mondiale dove venne sancita la neutralità di questo organismo, dando quindi la possibilità di togliere i feriti dal campo di battaglia e di curarli.
Dopo la Croce Rossa fu fondata la Mezza Luna Rossa per i paesi islamici. Fu una grandissima conquista per l'umanità. 

Altrettanto importante fu anche l'opera di Florence Nightingale (1820-1910). In passato non si concepiva la presenza di un corpo di infermiere, ma erano presenti solo persone di livello culturale molto basso (inservienti, ex prostitute, carcerate obbligate a lavorare negli ospedali) finché una donna, appartenente all'alta società inglese, nell'evenienza della spedizione di Crimea (1856), insistette perché ci fosse la formazione di un corpo di infermiere al seguito dell'esercito inglese. Lo fece praticamente a sue spese e questo corpo di infermiere diede prove eccezionali della loro importanza nell'assistere il malato.
Scoppiò una terribile epidemia di colera, e queste donne furono bravissime a curare i pazienti, nel mettere a punto le misure igieniche. Tornate in patria, vennero coperte di onori e la Nightingale ottenne al St Thomas's Hospital la creazione della prima scuola di infermieri specializzati. 

Nei primi anni del 1800 furono rese efficaci le misure di polizia sanitaria: la quarantena e lo scambio delle merci vennero regolati in maniera più seria.
Nel 1800 in Francia, prima di Laennec, c'era stato Marie Marie Francois Xavier Bichat (1771-1802) che aveva criticato l'uso del microscopio in quanto questo strumento, come era fatto allora, era assolutamente inutile. Egli diceva che occorreva tornare all'antico, e cioè usare metodi artificiali come la bollitura (come faceva Malpighi) e scomporre il corpo nelle sue unità fondamentali che, secondo lui, erano i tessuti. Bollendo la lingua, riusciva a spellarla, a notare sotto l'epitelio le papille, e ancora, poteva continuare a delaminare la lingua; sosteneva che le lesioni bisognava cercarle nei tessuti.
Si passa ad un livello più sottile rispetto a quanto sostenuto dal Morgagni, perchè diceva che bisognava cercare le lesioni nei tessuti. La curiosità sta nel fatto che Bichat, nel suo libro Anatomia Generale, in cui viene negato l'uso del microscopio, coniò il termine di istologia. L'idea venne ripresa da uno scienziato tedesco, un anatomopatologo, Rudolf Wirchow, dopo che era stata formulata la teoria della cellula da parte di un botanico, Mathias Jacob Schleiden (1804-1881), il quale affermò che i tessuti vegetali erano formati da cellule. Questo fu ripreso da un grande istologo: Theodor Schwann (1810-1882). Egli dimostrò (1839) questa teoria negli animali: la teoria cellulare (1839).
Rudolf Virchow (1821-1902) nel 1859 portò l'attenzione sul fatto che le cellule derivano da altre cellule e che le lesioni delle malattie si potevano riscontrare a livello cellulare e quindi pubblicò il suo famoso trattato "La patologia cellulare". Fu fondatore dell'istopatologia, ancor oggi base della diagnostica, descrisse: trombosi, embolia e leucemia, coniandone i termini. Classificò i tumori su basi istopatologiche, fu un grande antropologo. Virchow, infatti, fu colui che dimostrò che nell'uomo non esistevano delle razze, tanto è vero che Hitler non gli perdonò mai il fatto di aver negato l'esistenza di una razza tedesca. Fu anche un uomo politico di sinistra e si impegnò per migliorare le condizioni igieniche dei minatori. Tuttavia prese anche dei "granchi": non credeva alla dottrina del contagio attraverso i germi formulata da Pasteur.
Altre scoperte importanti furono la teoria dell'evoluzione di Charles Darwin (1809-1882) e le leggi della genetica, individuate verso il 1870 da Gregor Mendel (1822-1884) e riscoperte trent’anni dopo da Hugo deVries (1848-1935). Un'altra conseguenza della teoria cellulare fu l'uso dei coloranti per dimostrare le lesioni che Virchow era riuscito a dimostrare solo in parte perchè aveva a disposizione solo il carminio. Poco dopo vennero introdotti altri coloranti come l'ematossilina-eosina e vennero affinate le tecniche di preparazione dei tessuti: microtomia, inclusioni in paraffina, ecc.
C'erano però dei grossi problemi per quanto riguardava il sistema nervoso, che era quasi impossibile da studiare, perché con i metodi in uso si vedeva solo il nucleo, una parte del citoplasma, ma non i prolungamenti cellulari, per cui non si riusciva ad avere un'idea della neuroanatomia. 

Il metodo per studiare il sistema nervoso (reazione nera) fu messo a punto da Camillo Golgi (1843-1926): grazie a questa metodica si mettevano in evidenza i prolungamenti cellulari (il metodo di Golgi utilizza l'argento ed è detto reazione nera). Un emulo di Golgi, Santiago Ramon y Cajal (1852-1934), mettendo insieme nozioni quali il concetto di neuroni come entità cellulari indipendenti, formulato da Vilhelm His (1831-1904) e poi da Charles Scott Sherrington (1857-1952), il concetto di neurite come prolungamento cellulifugo e quello di dendrite come prolungamento cellulipeto, riuscì, guardando, le cellule della retina, a mettere insieme le prime vie nervose su base morfologica.
In seguito si è visto che il senso della corrente dipende dalla natura della sinapsi, non dalla sua posizione. Osservando preparati d'argento con il microscopio, sembra di vedere una rete. Perciò Golgi sosteneva che i neuroni non erano entità separate ma connesse ad una rete nervosa. Cajal estrapolò il concetto di cellula, come unità indipendente, ai neuroni e fu colui che diede dei contributi formidabili alla neuroanatomia. Cajal era spagnolo, ma la Spagna in quel periodo era silente dal punto di vista scientifico, Golgi era di Pavia, città, fino al 1860, sotto il dominio austriaco; ciò permise che tutte le scoperte italiane venissero diffuse in Europa centrale e tradotte in lingua tedesca. Al termine del dominio austriaco l'Italia ridiventò un paese provinciale e la scoperta di Golgi venne poco recepita all'estero. Cajal, invece, diffuse le sue scoperte andando ai congressi e parlando e scrivendo in francese e tedesco.
Golgi, che era allievo di Giulio Bizzozzero (1846-1901), lo scopritore delle piastrine del sangue, diede, inoltre, notevoli contributi agli studi sulla malaria: mise in relazione la comparsa della febbre con la fuoriuscita del plasmodio nel sangue e sostenne che quello era il momento di somministrare il chinino.
Nel 1906 ebbero insieme il premio Nobel. Golgi diede, inoltre, notevoli contributi a studi di patologia sulla malaria; mise in relazione la comparsa della febbre con la fuoriuscita del parassita nel sangue.
Sul contagio delle malattie non vi erano stati molti progressi: c'era una elevata mortalità fra le donne che partorivano nelle divisioni ospedaliere frequentate dai medici e dagli studenti, mortalità che risultava più bassa fra quelle che lo facevano a casa o nelle divisioni tenute da infermiere ostetriche. L'aiuto ostetrico di una clinica viennese, Ignac Fulop Semmelweiss (1818-1865), fu colpito da tale fenomeno e pensò che probabilmente i responsabili erano i medici e gli studenti di medicina che palpavano senza guanti nelle parti intime le donne, passando da una malata all'altra. Oltretutto l'igiene era scarsa anche all'interno dell'ospedale, dove le lenzuola si cambiavano una volta al mese. Semmelweiss obbligò medici e studenti a lavarsi le mani tra una visita e l'altra con il cloruro di calcio: fu comunque un uomo dal carattere difficile, fu perseguitato psicologicamente tanto che fu costretto ad andarsene a Budapest. Ebbe problemi mentali e per questo fu ricoverato in una clinica psichiatrica. Quando si diffuse la pratica dell’igiene ospedaliera, si resero conto che aveva ragione. All'inizio della seconda metà del 1800 era completamente sconosciuto il concetto di contagio: si operava a mani nude ignorando cosa fossero le cognizioni igieniche. 

Questa situazione ebbe fine grazie a Louis Pasteur (1822-1895). Professore di chimica nei licei scoprì le forme levo e destro dell’acido Tartarico. Fu poi incaricato dal governo francese di studiare i meccanismi di fermentazione che permettevano la produzione del vino e della birra e si rese conto che essi non erano semplici reazioni chimiche, ma il prodotto dell'azione di microrganismi viventi detti saccaromiceti. Mise anche a punto un processo per la conservazione degli alimenti col calore: la "pastorizzazione", usato ancora oggi. Fu anche incaricato di appurare o meno la veridicità della generazione spontanea e di studiare alcune malattie dei bachi da seta come la pebrina che dimostrò essere causata da un protozoo. Sulla base delle scoperte di Spallanzani e Bassi, arrivò alla conclusione che i batteri, derivati da altri batteri, i erano germi responsabili delle malattie. Verso i quarant'anni ebbe un ictus, ma ciò non gli impedì di continuare a fare importanti scoperte. Trovò inoltre il modo di attenuare i germi attraverso trattamenti opportuni, quando notò che culture vecchie di vibrione del colera del pollo, iniettate in polli sani, li rendevano immuni alla malattia. Mise a punto vaccini (termine da lui coniato in onore di Jenner) importantissimi come il vaccino per immunizzare gli animali contro il carbonchio ed il vaccino antirabbico. Quest'ultima scoperta entusiasmò il mondo intero quando Pasteur vaccinò con successo il pastorello Meister, morso da un cane, e diversi contadini russi, inviatigli dallo Czar.

Pasteur fu anche colui che coniò il termine : “Microbiologia”, utilizzando la parola “microbo” introdotta nel 1878 da Charles Sedillot (1804-1883).
Altro grande microbiologo fu il tedesco Robert Koch (1843-1910), premio Nobel 1905, a cui la moglie, quando era medico condotto, per il trentesimo compleanno, regalò un microscopio. Fu autore dei famosi postulati di Koch, secondo cui quando si sospetta una malattia il germe responsabile va isolato, coltivato in vitro, reinserito nell'animale per dare nuovamente la malattia e di nuovo isolato. Riuscì a coltivare i batteri su terreno solido (patate, gelatina, agar) ed isolò il bacillo del carbonchio poi utilizzato da Pasteur per preparare il relativo vaccino. Nel 1882 scoprì il bacillo responsabile della tubercolosi e, nel 1883, scoprì il bacillo del colera, descritto però vent'anni prima da Filippo Pacini, ispirato da Agostino Bassi. Più tardi, nel 1890, pensò di aver scoperto la terapia per la tubercolosi, grazie alla tubercolina: purtroppo fu un tragico errore perché tale sostanza ha solo valore diagnostico e non terapeutico. 

Emil von Behring (1854- 1907) e Shibasaburo Kitasato (1852-1931) introdussero nel 1894 il siero antidifterico e, successivamente, quello antitetanico. Nel 1882-84 Ilya Metchnikoff (1845-1916) scoprì la fagocitosi ed elaborò la teoria dell’immunità cellulare.
L'articolo di Pasteur sulla teoria della generazione spontanea finì tra le mani di un chimico inglese che lo fece vedere al chirurgo Joseph Lister (1827-1912), operante ad Edimburgo, che fu impressionato da tale ipotesi (i germi erano i responsabili dell'infezione). Ispirandosi al fatto che per bonificare le fogne di una cittadina inglese era stato usato il fenolo, nebulizzò tale sostanza sul tavolo operatorio durante l'intero intervento chirurgico, ottenendo una drastica riduzione dei decessi per sepsi della ferita. Tale processo venne chiamato antisepsi. Più tardi si capì che la sterilizzazione preventiva (asepsi) introdotta da Ernst von Bergmann (1836-1907), chirurgo tedesco, era più pratica ed efficace dell'antisepsi. L'uso dei guanti in gomma fu introdotto dal chirurgo americano William Halstead (1852-1922)

La teoria dei germi, basata sugli studi di Pasteur, Koch, Emil von Behring, Shibasaburo Kitasato, Almroth Edward Wright (1861-1941) e molti altri, ebbe, almeno nel mondo occidentale, un’influenza grandissima anche sulla vita di tutti i giorni e, persino, sulla economia. Fu la paura dei germi a far sì che le donne smettessero l'uso delle sottovesti multiple e delle gonne lunghe tipiche dell'età vittoriana e che gli uomini si radessero il viso. Un'altra conseguenza fu la nascita della moderna industria degli apparecchi igienico-sanitari, dei disinfettanti per le case e quella degli accessori usa e getta: carta igienica, assorbenti, bicchieri e fazzoletti di carta, etc.


Note Integrative di Storia dell'Assistenza Ostetrica e dell'Infermieristica.
           
 Il termine di ostetrica viene dal latino obstetrix, derivato dal verbo obstare=stare davanti.
La pratica ostetrica era in genere risevata alle donne anche se il più famoso trattatista dell’antichità fu il grande Sorano di Efeso (II secolo d.C.).

In età moderna, Vesalio dette i suoi contributi all’ostetricia che poi però furono perfezionati dal suo grande allievo Gabriele Falloppia. Egli descrisse in modo lodevole le tube che collegano l’utero agli annessi ma nonostante ciò non riuscì a comprendere la loro essenziale funzione di trasporto ovocitario, limitato anche dal fatto che all’epoca non si erano ancora identificate le gonadi femminili. Infatti le ovaie vennero descritte per la prima volta in Olanda da Regnier de Graaf (1641-1673), il quale fu seguito da Stenone.

Quest’ultimo fu anche il primo a capire che le femmine dei mammiferi (tra cui le donne) e quelle degli uccelli (per esempio le galline) avevano la stessa gonade che lui chiamò ovaia, mentre prima di lui questi organi erano chiamati testes muliebrum (testicoli delle donne). Fece anche importanti scoperte sul cuore affermando che era soltanto un muscolo e che non era la sede dell’anima. La stessa cosa disse della matrice (utero). Va segnalato che l’utero per molti secoli, sulla base di quanto affermato dal celebre medico Areteo di Capodocia (I-II secolo d.C.) fu considerato un organo indipendente che, muovendosi all’interno dell’addome, poteva portare dei gravi disturbi alla donna. Anche se ciò fu negato dagli anatomici del Rinascimento che dimostrarono che l’utero era ancorato alla pelvi, la concezione dell’indipendenza dell’utero nell’organismo della donna si radicò a tal punto che nel medioevo si credeva che quando questo saliva verso l’alto dava una sensazione di soffocamento, nausea e vomito tanto che una delle terapie maggiormente eseguite per questi sintomi era quella di attirare l’utero verso il basso ponendo le donne in posizione di Trendelenburg per ore ed esponendole all’azione di profumi che dovevano avere la funzione di far discendere l’organo. Sino all’800 si pensò che l’utero, o la funzione riproduttiva, influenzassero in modo determinante la personalità femminile. Il fatto che l’utero condizionasse la psiche ed il comportamento della donna è alla base della isteria, dal nome greco dell’utero, che ebbe una grande popolarità alla fine del 1800 anche per opera di famosi neurologi come Jean Martin Charcot (1825-1893). L’isteria era in realtà una sindrome psicotica che derivava non certo dall’utero (come poi dimostrò Sigmund Freud, 1856-1939) bensì dalla forte repressione sessuale delle donne dell’epoca. Le donne infatti venivano considerate solo in rapporto alla riproduzione, non avevano nessun diritto; solo nel ‘600 si iniziò l’istruzione scolastica elementare anche per le donne che, fino a 800 inoltrato, non potevano accedere all’istruzione superiore; inoltre vi erano molti tabù, anche di carattere religioso, in virtù dei quali le donne venivano costrette a subire i desideri sessuali del marito quando egli voleva, e si considerava peccato o addirittura“reato” non soddisfare il proprio marito.

Tra i grandi chirurghi del Rinascimento va ricordato, per quanto riguarda l’ostetricia, Ambroise Paré che fu tra i primi a praticare il rivolgimento nelle presentazioni anomale. Tra i suoi allievi egli ebbe una donna: Louise Bourgeois (1563-1636) la quale pubblicò nei primi anni del ‘600 un trattato di Ostetricia, nel quale, descriveva le tecniche di rivolgimento e di parto già trattate da Sorano di Efeso (II secolo d.C.) 8, con nozioni ovviamente più scientifiche e incominciava ad introdurre la nozione di “taglio cesareo” con donna morta o morente. Louise Bourgeois nel suo trattato sosteneva che le ostetriche (femmes savants) dovevano difendersi dai medici in quanto solo le donne potevano occuparsi delle donne. Va ricordato che dell’ opera di Sorano, così avanzata per l’epoca, si era però perso traccia, tant’è vero che nell’epoca Bizantina ci furono dei trattatisti come Paolo di Egina, che proponevano, ad esempio, in caso di presentazione di spalla, di tagliare l’arto del feto; la situazione migliorò un po’con la Scuola Salernitana perché il trattato di Sorano di Efeso fu tradotto in arabo e riportato in occidente da una donna chiamata Trotula, la quale, verso il sec.1000, pubblicò uno dei primi trattati di ostetricia riportando i concetti fondamentali di Sorano di Efeso.

Fabrizio da Acquapendente che pubblicò il primo trattato di embriologia della storia, diede dei contributi importanti sia per quanto riguarda la descrizione delle uova, sia per la scoperta della cosiddetta Borsa di Fabrizio degli uccelli; inoltre fu il primo a studiare la placenta; anche Aranzio e l’allievo di Fabrizio: Casserio, diedero dei grandi contributi all’ostetricia dell’epoca ed in particolare alla conoscenza degli organi genitali femminili. Casserio mise in evidenza la funzione dei legamenti uterini, descrisse in maniera dettagliata l’utero e fu il primo a comprendere l’anatomia dei corpi cavernosi del pene, nell’uomo, e la somiglianza del pene al clitoride femminile. Il clitoride fu comunque scoperto e descritto per primo dagli arabi che ne compresero la funzione. Un problema che sopravviveva era quello dell’istruzione pratica in campo ostetrico e cominciavano a comparire delle opere dedicate specificamente alle levatrici; il trattato di Louise Bourgeois venne preceduto da un trattato di ginecologia scritto nel 1513 dal tedesco Eucario Roesslin e tradotto poi in italiano con il titolo “il Roseto”. Seguì, verso la fine del 1500, il trattato di Scipion Mercurio (Fra Girolamo) che si chiamava “la commare o raccoglitrice”: era un libro in tre volumi dedicato all’ostetricia e alla ginecologia; siamo nel 1600 e si andava definendo una vera e propria arte ostetrica; nel 1668 ci fu l’opera del francese Francois Mauriceau seguita dall’opera di Sebastiano Melli la comare levatrice (1721) che raccoglieva molti concetti nuovi soprattutto pratici. Nel 1742 Fielding Ould introdusse l’episiotomia.

Nel 1781 Jean Louis Baudelodque introdusse il pelvimetro. Importanti trattati di ostetricia, splendidamente illustrati, furono scritti da William Smellie (1697-1763) e dal suo allievo William Hunter (1718-1783), fratello maggiore del Chirurgo Jonn Hunter.

Sempre intorno alla fine del 1700, parallelamente all’istruzione dei chirurghi con le cere anatomiche, si tentò di istruire le ostetriche con le cere come si vede nei musei di la Specola a Firenze e dello Josephinum di Vienna.

Raccolte magnifiche di cere e terracotte si trovano anche a Bologna (Galli), a Modena e a Roma (Manfredini), Firenze (Galletti) e Napoli (Citarelli). Nello stesso periodo l’assistenza ostetrica pur rimanendo, nelle classi meno abbienti, una pratica femminile, divenne gradualmente, tra i borghesi e gli aristocratici, una professione maschile.

L’introduzione del forcipe avvenne nel tardo 600 -primo ‘700 in Inghilterra ad opera della famiglia Chamberlen e successivamente in Francia. L’utilizzo del forcipe (più volte modificato) ha portato a gravi conseguenze per coloro i quali venivano al mondo con questo strumento. L’estrazione con il forcipe infatti provocando gravi lesioni della corteccia dell’Ippocampo può causare l’insorgenza di una attività cerebrale di tipo epilettico con le gravi conseguenze che questo comporta! Gran parte dei casi di epilessia che si registravano all’epoca erano infatti da ricondurre all’utilizzo di questo strumento. Al fine di evitarne le grave conseguenze a carico del nascituro, L’uso del forcipe è stato gradualmente abolito; nel 1953 lo svedese Tage Malstrom introdusse l’estrattore a vuoto (ventosa).

Alla fine del settecento furono istituite le prime maternità che erano riservate alle donne molto povere perchè le donne ricche partorivano a casa con una mortalità inferiore rispetto alle donne che partorivano in ospedale, come notò Ignac Fulop Semmelweiss (1818 – 1865) aiuto ostetrico di una clinica viennese; colpito da tale fenomeno pensò che probabilmente erano responsabili i medici e gli studenti di medicina che palpavano, senza guanti, nelle parti intime le donne passando da una donna all’altra. Semmelweiss, obbligò medici e studenti a lavarsi le mani con un disinfettante tra una visita e l’altra, diminuendo così tantissimo la mortalità per febbre puerperale, malattia infatti che divenne controllabile soprattutto con l’igiene; questa situazione ebbe fine grazie a Pasteur che dimostrò che l’infezione era causata da uno streptococco. La febbre puerperale venne debellata dall’avvento dei sulfamidici e degli antibiotici.

James Marion Sims (1813-18) praticò nel 1849 il primo intervento sulla fistola vescica vaginale ed è considerato il fondatore della ginecologia chirurgica. Dal 1845 in poi venne gradualmente introdotta l’anestesia con etere e, nel 18473, ad opera di James Simpson (1811-1870) quella con Cloroformio. L’anestesia nel parto venne all’inizio ostacolata perché contraria all’asserto biblico: partorirai col dolore. Nel 1853 tuttavia John Snow (1813-1858) anestetizzò la regina Vittoria per il parto del principe Leopoldo.

Il taglio cesareo su donna morta veniva praticato fin dall’antichità ed è descritto più volte. Verso la fine del 700 primi dell’800 vennero praticati con successo alcuni interventi su donna viva. Tra essi è menzionato quello effettuato in Sud Africa nel 1821 dal medico militare James Barry (1792-1865) che, come venne scoperto dopo la morte, era, in realtà una donna : Miranda Stuart, laureatasi sotto mentite spoglie a Edimburgo nel 1812. Va però ricordato che i tagli cesarei su donna viva erano interventi eroici, di solito fatali. Verso il 1870 venne introdotta l’antisepsi seguita dalla asepsi.

Un passo importante nella storia dell’ Ostetricia fu l’esecuzione a Pavia nel 1876 da Edoardo Porro del primo Taglio Cesareo su donna “vivente”. Anche se tale intervento comportava l’amputazione di parte dell’ utero l’intervento era relativamente sicuro e venne praticato su migliaia di donne. Un taglio cesareo simile a quello praticato oggi fu introdotto in Germania ai primi del 900, dopo che si era riusciti a suturare la parete dell’utero. Nel 1882 il tedesco Max Saumlnger descrisse la sutura a strati della parete uterina e, da allora, l’intervento assunse gradualmente le attuali caratteristiche.

Altre importanti scoperte furono nel 1910, quella dei chemioterapici ad opera di Ehrlich, capaci di aggredire il germe della sifilide e quella, nel 1935, di Domagk (1895-1964), allievo di Ehrlich, dei sulfamidici e antibiotici che vennero usati soprattutto nel trattamento della febbre puerperale.

Domagk vinse anche il premio Nobel, che tuttavia non potè ritirare, perchè i nazisti non permisero che si compromettesse con gli anglossassoni; lo ritirò soltanto dopo la II guerra mondiale. Nei 45-46 divenne disponibile la penicillina: il primo degli antibiotici.

Fu fondato poi, il Collegio delle Ostetriche e vennero istituite le scuole convitto, alle quali si poteva accedere dopo la terza media. Nel frattempo la professione ostetrica era stata regolamentata e veniva considerata il grado IV dell’istituto infermieristico, di un livello superiore a quello delle infermiere professionali.

A partire dalla fine del 1800 ci furono le ostetriche condotte che venivano dislocate nei piccoli centri; a partire dagli anni 1920-30 esse acquistarono un certo prestigio sociale tanto da far parte dell’elite, insieme al prete, al medico, al farmacista ed alla maestra (o).

Note Integrative di Storia dell'Assistenza Ostetrica e dell'Infermieristica.

In Italia la scuola infermieristica laica è partita con molto ritardo, perchè l’ ospedale era sotto il dominio della Chiesa, e veniva considerato una palestra nella quale esercitare la carità. Vi erano, a parte le suore, molto personale volontario della borghesia che andava ad assistere i malati negli ospedali, che più che ospedali erano degli ospizi per i poveri.

Nacquero poi gli ordini assistenziali,di cui i più importanti erano:

    FATEBENEFRATELLI di San Giovanni di Dio (spagnolo);
    CAMILLIANI di San Camillo (italiano);
    SUORE DI CARITA’ di San Vincenzo da Paoli (egli non voleva che fossero suore perchè si dovevano mescolare con la gente. L’ordine poi si sciolse e si riformò dopo la Rivoluzione Francese, ancora oggi è un ordine particolare perchè hanno i voti temporanei, infatti devono rinnovare i voti ogni anno).

Importante fu l’ opera di Florence Nightingale, nobil donna appartenente all’ aristocrazia inglese, che nell’evenienza della spedizione di Crimea (1856), insistette perchè venisse formato un corpo di infermiere al seguito dell’ esercito inglese, dimostrando con i fatti come la presenza di queste donne fosse importante. Infatti, scoppiato il colera (morbo indico), che porta a morte per disidratazione in seguito alla diarrea, queste infermiere guidate dalla Nightingale si prodigarono per migliorare le condizioni igieniche, cosa di fondamentale importanza.

Alla fine della guerra di Crimea, i reduci fecero una colletta perchè si formasse una scuola per sedici infermiere presso il St Thomas’s Hospital di Londra.
La scuola per infermiere di Florence Nighthingale, fu sicuramente la prima vera scuola ad impronta laica.
Questo modello però non venne accettato in America, dove vennero formate scuole laiche senza vincoli di rigidità classista, tanto e’ vero che nel 1909 venne dichiarata la parità fra neri e bianchi.
In America la prima scuola Universitaria di infermieristica sorse nel 1909 in Minnesota, mentre in Italia l’evoluzione fu assai più lenta.
Nacquero delle scuole laiche fondate dalla moglie di Celli, Anna Fraentzel Celli, la quale aveva studiato ad Amburgo ed aveva portato in Italia quello che aveva imparato nelle scuole tedesche, ma, anche lei aveva una mentalità classista, riteneva infatti che le infermiere non si dovevano sposare ma, dovevano dedicarsi solo ai malati. Altre scuole furono fondate da Grace Baxter e Amy Turton: Vennero anche istituite delle scuole gestite da religiosi(Scuola/Asilo S. San Giuseppe di Roma)
In Russia ci fu l’ equivalente della Nightingale , Elena Pavlovna che formò una scuola.
Anche in Germania furono create diverse scuole laiche.

Nel 1925 le scuole infermieristiche furono regolamentate con dei decreti statali. Nel 1929 furono create le prime scuole convitto dove le infermiere dovevano aver svolto, per accedervi, la quinta elementare più altri due anni di scuola infermieristica.

Nel 1927 è stata fatta la prima scuola per infermieri generici,soprattutto maschi, che potevano svolgere lavori pesanti, mentre fino ad allora stavano solo nei manicomi.

Nel 1954 viene fondato il Collegio nazionale Infermieri Professionali Assistenti visitatrici e Vigilatrici d’infanzia (IPASVI).

Negli ospedali venivano impiegate soprattutto le suore perchè meno retribuite anche se istruite.

Dal 1956 per accedere alle scuole convitto occorreva la licenza di scuola media inferiore.

Nel 1965 vennero create All’Università la Sapienza di Roma le prime scuole per DAI ,(Dirigenti di Assistenza Infermieristica), scuole di livello superiore.



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